J. STRAUSS Die Fledermaus B. Skovhus, V. Naforniţa, L. Bakirci, D. Uzun, B. Berchtold, L. Holender, D. Kontora, B. Kobel, A. Sautier, U. Samel; Orchestra e Coro dell’Opera Carlo Felice, direttore Fabio Luisi regia Cesare Lievi scene e costumi Luigi Perego coreografia Irina Kashkova
Genova, Teatro Carlo Felice, 8 gennaio 2023
Sull’onda di quanto avviene da tempo in quel di Vienna, Il pipistrello è diventato ormai il titolo ideale per i teatri che intendano svoltare l’anno in musica evitando (lodevolmente, direi) concertoni vari, ad imitazione di eventi internazionali che si trascinano peraltro ormai con evidente stanchezza. Il motivo risiede ovviamente nella leggerezza e brillantezza della partitura, e nella consonanza tra il ricevimento del secondo atto e i nostri, magari meno sfarzosi, veglioni di capodanno; tuttavia, volendo analizzarne la trama, la prospettiva umana che ne traluce non dovrebbe invitare così tanto all’allegria. Il matrimonio è fedifrago, l’amicizia ipocrita e vendicativa; tutti vogliono apparire diversi da quello che sono, cercando stordimento e oblio nello champagne… malgrado la levità della musica, un quadro ben agrodolce, difficile da rimuovere col semplice inevitabile lieto fine. È quanto la regia di Cesare Lievi mira ad evidenziare con la surreale e costante presenza in scena di uno struzzo impagliato (animale la cui caratteristica più nota è quella di nascondere la testa sotto la sabbia…): dapprima discreta, nel secondo atto ben al centro della scena, nel terzo ospitato dalla gabbia in cui vengono rinchiusi alla fine dell’opera due amareggiati Eisenstein e Rosalinde, tanto per rendere esplicita la natura profonda del loro matrimonio. Questo è stato uno dei momenti più creativi di un allestimento che non sempre ha saputo tener dietro alla brillantezza della musica, specie nel secondo atto (azzeccata però l’atmosfera improvvisamente crepuscolare individuata per lo struggente «Brüderlein und Schwesterlein»), ma che ha comunque mostrato le qualità migliori in una certa credibilità globale e nella cura dei particolari, come dialoghi recitati (nella lingua e nella forma originali) di una scioltezza che non si riscontra sempre, soprattutto fuor dai paesi di lingua tedesca.
Ma il vero punto di forza dello spettacolo, debuttato al Carlo Felice proprio il 31 dicembre e visto in una replica domenicale, è stata la direzione di Fabio Luisi, com’è noto pienamente a suo agio nella cultura mitteleuropea e che nei primi anni di professione ha avuto modo di assorbire in loco (soprattutto a Graz) le peculiarità stilistiche dell’operetta viennese. Fin dall’Ouverture, del resto vero compendio dell’opera, il direttore genovese ha dimostrato la capacità di isolare espressivamente ogni episodio, incalzante nei momenti spumeggianti (davvero trascinante la stretta), evitando eccessi di languore in quelli più lirici: l’elasticità del suo stacco magari non è sempre stata afferrata al volo dal palcoscenico (qualche scollatura si è avvertita qua e là, ad esempio nel primo Terzetto del primo atto) ma si è rivelata costantemente in grado di evidenziare la vivacità, l’eleganza, le fugaci malinconie di un’operetta che Strauss Jr. concepì in autentico stato di grazia.
Valentina Naforniţa è una Rosalinde giovane e bella, flessuosa e di voce gradevole, capace di sfumature anche nella Csárdás e abile nel mascherare il limite di fiati un poco corti; riesce difficile capire come una così bella figliola possa essere attratta da due contendenti agée e quasi caricaturali come l’Eisenstein di Bo Skovhus e l’Alfred di Bernhard Berchtold. Quest’ultimo appare poco seduttivo non solo fisicamente ma per una voce piuttosto grigia, che rende assai poco credibile la fascinazione «acustica» di Rosalinde; mentre il sessantenne baritono danese affronta spavaldamente l’ardua tessitura baritenorile del protagonista, ma con canto un po’ troppo stentoreo e mancando completamente di morbidezza per «Dieser Anstand, so manierlich»; qualità che difetta anche al Falke di Liviu Holender, per il resto efficiente, nel grande inno alla fratellanza del secondo atto. Un po’ puntuta ma flessibile la vocalità di Danae Kontora (Adele), la più applaudita del cast; molto gradevole il registro centrale di Deniz Uzun (Principe Orlofsky), eccellente nei Couplet e nell’intervento in «Brüderlein und Schwesterlein», un po’ in affanno invece nell’inno allo Champagne del Finale II. Buono il contributo di tutti gli altri, piacevoli coreografia e ballerini nella Schnellpolka «Unter Donner und Blitz» che sostituisce come da tradizione il balletto originale del secondo atto; in buona forma coro e orchestra del teatro genovese.
Roberto Brusotti