PUCCINI Messa di Gloria PONCHIELLI Elegia per grande orchestra op.114 DE SABATA Juventus L. Ganci, M. Olivieri; Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Antonio Pappano
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, 23 aprile 2022
Un programma di musica italiana non-operistica è ormai ovunque una rarità: nella prossima stagione 2022-2023 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, a parte una soirée Vivaldi e una pagina di Berio, non c’è una sola battuta d’un compositore nato nella penisola. Non ci si parli di ragioni urgenti di richiamare al Parco della Musica turbe plaudenti e rimpinguatrici di casse (Bohuslav Martinů, più volte presente, non è certo il massimo dell’appeal popolare). Un’istituzione concertistica italiana è anche e soprattutto un luogo di cultura e di cultura nostra prima che d’altre. Ma tant’è: ai dì odierni non avviene diversamente dall’Alpi alla Trinacria. È stato peraltro istruttivo vedere che alle tre serate di musica italianissima or ora dirette da sir Tony Pappano, i posti vuoti nella Sala Santa Cecilia erano pochi assai e che il gradimento dei presenti è stato a dir poco lusinghiero per le magnifiche sorti e progressive dell’Euterpe italica.
S’apriva con la cosiddetta Messa di Gloria di Giacomo Puccini: titolo di comodo, se non apocrifo, apposto da colui che tal lavoro del Lucchese ha ritrovato in copia, ossia Dante Del Fiorentino: alla pubblicazione innescando poi una querelle di diritti d’autore con la Ricordi, cui era andato l’originale posseduto dalla famiglia Puccini. Corre senz’altro il dovere di dire che la partitura è a dir poco acerbissima, scritta com’è tra il 1878 e il 1880 per l’esame di diploma all’Istituto Boccherini di Lucca. E che, a parte una qual sgargiante confezione orchestral-corale, palesa sproporzioni vistose e pochissima unità nella struttura, idee o non originali o non eccelse e una scarsa sensibilità per il sacro. Sì che — guarda caso — sembra a tratti d’udire uno sfondo chiesastico teatrale, “rappresentato” cioè, che preluda all’ingresso di una Manon a Saint-Sulpice o di una Tosca a Sant’Andrea della Valle. Esecuzione splendida e piena di convinzione da parte di Pappano, dell’orchestra e del coro; meno dal tenore Luciano Ganci (in sostituzione di Saimir Pirgu) e dal baritono Mattia Olivieri. Personalmente avremmo assai preferito ascoltare, in apertura di tal serata, quel piccolo gioiello che è La canzone dei ricordi di Giuseppe Martucci, che, come si suol dire, qui ci stava al bacio…
La seconda parte proponeva subito la bellissima Elegia per grande orchestra di Amilcare Ponchielli: misteriosa nelle origini, scritta forse in morte di Wagner nel 1883, essa reca sulle parti orchestrali un’annotazione a matita dell’autore: “Triste rimembranza! Dolore! Cuore infranto!”. Di Wagner tuttavia non si rievoca molto in siffatta pagina, se non un tristaniano assolo di corno inglese alla fine della parte centrale. Vi abbiamo udito assai di Brahms invece, soprattutto all’inizio; ma riscaldato da un’avvampar di sensi che fanno pensare l’Elegia come un addio d’amanti, come una memoria di passioni divenute ieri, quasi quei dannunziani, celebri versi de La passeggiata:
“Voi non m’amate ed io non v’amo…
Conosco il vostro portentoso male;
e il dolore ch’è in voi forse m’attira
più de la vostra bocca e dei capelli
vostri, dei grandi medusèi capelli
bruni come le brune foglie morte”…
Sir Tony in tal voluttuosa fin de siècle (la recente Turandot fa testo) era come nel suo miglior salotto e vi ha profuso ardori e smarrimenti, nostalgie ed esaltazioni a volontà.
Juventus è uno dei poemi sinfonici più celebri di Victor De Sabata, compositore che vorremmo e dovremmo meglio conoscere. Scritto nel 1919, esso celebra con mirabile sintesi gli slanci le aspirazioni, i sogni, le pulsioni, la sbrigliata fantasia dell’età giovanile, in una scrittura di possente virtuosismo sinfonico e di immaginifica capacità rappresentativa. Nonché di palese collocazione stilistica in una temperie che va dallo Strauss di Also sprach Zarathustra e Don Juan al Respighi dei tre Poemi Romani. Musica italiana per temperamento, per scienza suprema del colore, ma pienamente immersa nell’agone musicale europeo tra le due guerre; e certo Kapellmeistermusik,tanto ne è improbo il dipanamento d’uno strumentale densissimo e d’una sequenza di quadri drammatici contrastanti e talor di violenta stagliatura. Pappano vi si è immerso totalmente, facendo vibrare fino all’incandescenza una sempre più eccezionale orchestra. Applausi e successo indiscutibili.
Maurizio Modugno
foto: Riccardo Musacchio