WAGNER Siegfried-Idyll MAHLER Sinfonia n. 4 in sol maggiore soprano Rachel Harnisch Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Daniele Gatti
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, 10 gennaio 2019
Il pubblico dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia è ormai abituato ai forfaits di Yuri Temirkanov. Le sostituzioni di volta in volta architettate dalla direzione artistica sono state talora non paragonabili all’assente, talora di lignaggio tale da non farlo in alcun modo rimpiangere. Così è stato per il concerto del 10 gennaio ultimo, che già per il direttore russo prevedeva la Quarta di Mahler, cui il sopraggiunto Daniele Gatti ha voluto accostare, in apertura di programma, il Siegfried-Idyll di Wagner.
Ci è parso eccezionale anzitutto il manifestarsi di un rinnovato feeling tra Gatti e un’orchestra che non è più “sua” da oltre vent’anni, ma che gli ha corrisposto con totale intimità di sensi. A cominciare proprio da un Siegfried-Idyll, nella versione per grande orchestra: sottratto alla Biedermeier Stimmung pensata da Wagner e proposto invece con un suono possente e bruno, non privo di tutti i colori strumentali richiesti e certo protratto su un arco, tuttavia ben teso, di oltre i venti minuti consueti. Ma d’una incredibile vibrazione drammatica, quasi un preludio sconosciuto alla Gӧtterdӓmmerung.
Ancor più, e non a torto, l’esecuzione della Quarta Sinfonia di Mahler è parsa di livello eccezionale. Continuiamo a credere – l’abbiamo già scritto — che Gatti non sia un direttore d’italianità tradizionale, nel senso più intuitivo d’un termine che si fonda sull’alchimia di qualità del suono, fraseggio, dimensione espressiva, repertorio. Lo notavamo di recente, parlando del suo Rigoletto all’Opera di Roma, nel quale son parse sfuggirgli le componenti di brillantezza e sensualità, (ma non quelle di tragedia cosmica); così come più addietro, ancora a Roma, avevamo per contro notato la sua importante, saldissima lettura di Tristan und Isolde. Sembra in realtà che centro del suo mondo d’interprete debba proprio esser considerato lo scorcio ampio della cultura musicale mitteleuropea tra Ottocento e Novecento. Ove egli gioca se stesso senza remore, senza paure, in una totalità di coinvolgimento e di penetrazione che par del lignaggio dei grandi della tradizione austro-tedesca ovvero di quella d’un Marinuzzi, d’un Giulini o d’un Abbado giovani. Ecco dunque questa Quarta di Mahler, che pour cause ha suscitato un terremoto d’applausi: intensa, violenta, pronta continuamente a dar conto delle piaghe del corpo come degli schianti dell’anima, mai semplice o leggera, neppur nell’ultimo “Das himmlische Leben”: e non “morale” come quella di Bruno Walter e non “entusiasta” come quella di Bernstein, casomai vicina ai disfacimenti e agli espressionismi d’un Klemperer o d’uno Scherchen. La risposta dell’orchestra, come s’è detto, è apparsa formidabile e partecipante quale di rado è dato udire.
Ci saranno altre sostituzioni così?
Maurizio Modugno
foto Musacchio, Ianniello & Pasqualini