MOZART Così fan tutte A. Kraynikova, M. De Liso, G. Mastrototaro, F. Marsiglia, L. Campanella, D. Colaianni; Coro Mascagni di Savona, Orchestra Sinfonica di Sanremo, direttore Giovanni Di Stefano regìa, scene e costumi Elisabetta Courir
Savona, Teatro Comunale Chiabrera, 11 ottobre 2015
La vulnerabilità di Fiordiligi e Dorabella è già intuibile nella facilità con cui, pur nel pieno dell’afflizione per la partenza degli amanti, si lasciano consolare dai dolcetti che offre loro Despina. E i faretti rossi (il colore dello squillante abito di Don Alfonso) che illuminano la platea a “Volgi a me pietoso il ciglio” denunciano che quella debolezza è comune a tutti, tutti noi siamo sensibili alla passione e alla seduzione: il nostro candore e la nostra “onestà” sono destinati a crollare, così come nei candidi abiti degli Ufficiali e delle Dame ferraresi è presente fin dall’inizio qualche elemento di quel simbolico carminio, come un virus che attende solo un cedimento dello spirito per diffondersi liberamente. Non per tutti, però, l’accettazione dell’assunto dell’opera è priva di conseguenze: se sulle note conclusive Ferrando e Dorabella si abbracciano con disinvolto ardore, Fiordiligi con un gesto finale respinge Guglielmo. Del resto che in lei le “ragioni del cuore” fossero più tenaci era reso evidente da una delle scene più suggestive dell’allestimento, una progressiva calata dall’alto di enormi teli bianchi a “Per pietà, ben mio, perdona”: se è vero che “così fan tutte”, insomma, non per tutte/tutti il mutamento di prospettiva riesce altrettanto innocuo da metabolizzare.
Una sorridente comprensione dell’animo umano (e della sua “richiesta di infinito”, come affermano le note di regìa) è dunque alla base della messinscena di Elisabetta Courir che l’Opera Giocosa di Savona (in coproduzione con l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento) ha proposto come primo titolo della stagione autunnale: un allestimento assai spoglio, quasi privo di apparati scenici. I pochi elementi che alludevano ai cambi scena venivano posizionati da comparse e coro, sul preludiare del basso continuo di Gianluca Ascheri e Marco Vitali, perennemente attivi e reattivi, il che ha conferito allo spettacolo una particolare velocità, anche se in alcuni punti (soprattutto nel secondo Finale) qualche elemento spaziale in più avrebbe reso gli avvenimenti più immediatamente comprensibili. E il senso di uno scorrere irresistibile degli eventi era suggerito anche dai tempi spesso incalzanti staccati da Giovanni Di Stefano, al prezzo di mettere talvolta a repentaglio l’equilibrio col palcoscenico; una sveltezza agevolata dal fatto che la partitura è stata proposta con quasi tutti i tagli di tradizione, soprattutto quelli interni ai recitativi e ai numeri chiusi, a dire il vero oggi un po’ anacronistici e francamente fastidiosi, in particolare quelli nel nevralgico duetto Fiordiligi-Ferrando e nel secondo Finale. Originale invece lo slittamento dell’Ouverture dopo i tre terzettini iniziali, a costituire un momento di mediazione tra l’ambiente maschile della bottega di caffè e quello femminile del giardino sulla spiaggia (e in effetti sulle note della Sinfonia dame e cavalieri innescavano una sorta di ronda amorosa).
La visione piuttosto tradizionale dell’opera è stata assecondata da un cast che ha riproposto i personaggi fissati nell’immaginario universale di Così fan tutte: bella e flessuosa, Anna Kraynikova impersonava una Fiordiligi fragile ma nobile, di voce e fraseggio assai gradevoli, pregevole nel Rondò anche se appena brusca negli acuti di sbalzo di “Come scoglio”; Marina De Liso una Dorabella pronta al gioco e agli amori, accattivante in entrambe le arie. Francesco Marsiglia (Ferrando) proietta bene in maschera una voce non grande ma penetrante, capace di svettare nei concertati, e di conferire un efficace ardore alla Cavatina del secondo atto, ai finali e al Duetto con Fiordiligi: il tenore napoletano è stato assai apprezzato anche in “Un’aura amorosa”, anche se l’aria sublime sarebbe stata autenticamente coronata da un maggiore sostegno delle mezzevoci. Giulio Mastrototaro ha proposto un Guglielmo solido e spigliato; simpatica in tutte le sfumature farsesche previste dalle convenzioni la Despina di Linda Campanella, mentre Domenico Colaianni sopperiva a un timbro non molto interessante con una dizione assai eloquente, che gli consentiva di disegnare un Don Alfonso padrone dei giochi e incline, a tratti, a qualche amarezza.
Roberto Brusotti