BRAHMS Tre duetti da op. 66 MENDELSSOHN Tre duetti da op. 63 e 77; Trio n. 1 op.49; Trio n. 2 op. 66 Trio Gaon (violino Jehye Lee violoncello Samuel Lutzkerpianoforte Tae-Hyung Kim)
Trieste, Sala Victor De Sabata – Ridotto del Teatro Verdi, 15 aprile 2019
La ventennale attività di Chamber Music basta ed avanza a pianificare una e più stagioni di lusso, attingendo alla élite dei vincitori tutti messi in orbita di professionalità. Con il programma posto al centro della rassegna disegnata da Fedra Florit, il giovane Trio Gaon (Premio Trio di Trieste 2017) ha per esempio fatto una mezza prova generale del concerto inserito nella stagione della Cappella Paolina al Quirinale. Non si sarebbe potuto assortire una “primavera” più fragrante di questa, attraversata (a parte un trittico di “duetti” brahmsiani) dalla mondanità smagliante di Mendelssohn. Bastano i due Trii op. 49 e 66 a fare della serata una “serra” che suscita una riflessione, quando la si visiti pensando all’incredibile cenacolo culturale tra Vienna e la Sassonia in quel torno d’anni dell’Ottocento. Dove brevi erano le vite degli artisti, ma vasto l’incendio che ne divampava. Lungo era il secolo ma vertiginosa l’arte. I due Trii mendelssohniani sembrano ideali a riaccendere questo lampo vertiginoso nella vita musicale. In questo crogiolo di classicismo e di elfico romanticismo ribolle in una Hausmusik altissima, lontana dagli abissi. Ed è di questa atmosfera che il Trio Gaon sembra rappresentante e rigeneratore. È evidente che la scelta stessa di Mendelssohn è scelta di solarità. Ma qui nella ricchezza del fraseggio, nel canto, nella scintillazione ritmica, nella continuità di colloquio quasi (parafrasando Schubert) “in dem Licht zu singen”, il Trio Gaon trasmette all’uditorio quel senso di incantata trepidazione per cui pare quasi di ascoltare la musica nel vuoto d’aria di una grande bolla. Seppure la bolla rischi di venire squarciata da un applauso intempestivo dopo la rapinosa perfezione che chiude il primo movimento del Trio in re minore.
Se ci sembrano in sei anziché in tre – Jehye Lee, Samuel Lutzker, Tae-Hyung Kim – non è per la quantità straordinaria, quasi sinfonica, del suono, ma per la profondità dell’interpretazione. Sicché, per esempio, l’approdo tonale del ff con forza nell’Allegro appassionato del Trio n. 2 acquista straordinaria esaltazione, venendo dopo le aeree trasparenze di ritmo e di timbro dello Scherzo (qui, ma già ampiamente evocate nel corrispondente movimento del primo Trio) dove la musicalità del gruppo sembra davvero volteggiare con la regina Maab, le fate, le creature fluttuanti nel Sogno di mezza estate. Levità, cui la serata di grazia dell’ensemble aggiunge nel fuori programma una specialità della casa: il finale del Trio di Jean Françoix, opera tarda del prolifico compositore francese ma ancora giovanilistica per il guizzo di uno humour che occhieggia al passato ed ai colori di Renoir e Toulouse Lautrec.
Gianni Gori