Ci sono notizie che sembra debbano giungere da un momento all’altro; poi per tante settimane, mesi, anni, non arrivano e fanno credere che, per questo motivo, non arriveranno mai. Ma così non è, purtroppo: a soli 48 anni è scomparso Ezio Bosso. Che soffrisse di una grave malattia neurodegenerativa era ben noto; che i suoi giorni fossero segnati, altrettanto. Ma la sua forza di volontà, il suo attaccamento alla vita e alla musica erano tali, così forti che sembravano sfidare le leggi della scienza: fra terapie dolorosissime e periodi di sofferenze atroci, Ezio Bosso non rinunciava ai suoi progetti, ai concerti, ad appassionare una quantità di persone quali mai la cosiddetta “musica classica” aveva conosciuto negli ultimi anni. A Bosso ho dedicato, esattamente un anno fa, la copertina di MUSICA: una scelta che mi ha attirato molte critiche e che però rivendico con orgoglio, ora più che mai. Non conoscevo molto bene, prima di quel momento, Ezio Bosso: ma assistere ad un suo concerto (tutto beethoveniano) nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano gremita fino all’inverosimile di pubblico attento, entusiasta, pieno di slancio, amore e desiderio di conoscere, è stato qualcosa che mi ha fatto riflettere profondamente. Bosso era amareggiato per le critiche di tanta parte dell’ambiente “classico”: non chiedeva, infatti, di non essere giudicato, ma di avere lo stesso trattamento di qualsiasi altro direttore d’orchestra, in positivo o in negativo. Perché era — faccio fatica ad usare il verbo al passato — un musicista completo, classicamente educato, pieno di idee e di coraggio: anche di successo, certo, quel successo popolare che gli è giunto dopo la partecipazione al Festival di Sanremo. E si sa che poche cose in Italia sono invidiate, e quindi non perdonate, come il successo. L’ultimo ricordo personale di Ezio Bosso risale allo scorso settembre, quando abbiamo partecipato insieme, durante Cremona Mondomusica, ad una trasmissione radiofonica su Venice Classic Radio dell’amico Massimo Lombardi: non dimenticherò la lucidità del suo pensiero, l’audacia delle sue proposte che contrastavano in maniera così crudele con un fisico offeso dalla malattia e dalla sofferenza. Che la terra gli sia lieve.
Nicola Cattò