
STRAUSS Die Liebe der Danae Scott Hendricks, Timothy Oliver, Tuomas Katajala, Angela Meade, Valentina Farcas, John Matthew Myers; Orchestra e Coro dell’Opera Carlo Felice, direttore Michael Zlabinger regia Laurence Dale scene e costumi Gary McCann luci John Bishop
Genova, Teatro Carlo Felice, 13 aprile 2025
Fin dalla presentazione della stagione 2024/2025 del Carlo Felice, Die Liebe der Danae si imponeva come l’appuntamento più stimolante, per l’estrema rarità del titolo e anche per il ritorno sul palcoscenico genovese di Laurence Dale, creatore dello spettacolo forse più brillante visto a Genova negli ultimi anni: A Midsummer Night’s Dream di Benjamin Britten (vedi la recensione qui).
La penultima opera di Richard Strauss fu in effetti sfortunata fin dall’esordio: composta tra il 1938 e il 1940, la sua messa in scena venne procrastinata più volte, e alla fine la prima esecuzione, programmata per il Festival di Salisburgo del 1944, venne annullata in conseguenza dell’attentato a Hitler del 20 luglio; la prima rappresentazione ebbe luogo soltanto nel 1952, quando l’autore era morto ormai da quasi tre anni. Rimane oggi l’opera meno rappresentata del compositore monacense; in Italia, a quanto risulta, era stata finora eseguita soltanto due volte, entrambe alla Scala: in un’edizione scorciata e in lingua italiana e poi, nel 1988, in occasione di una tournée della Bayerische Staatsoper. Una buona dose di sfortuna L’Amore di Danae se l’è portata dietro anche in occasione di questo allestimento genovese, concretizzandosi prima nella rinuncia di Fabio Luisi, per gravi motivi familiari, a dirigere un’opera che pure lui stesso aveva promosso e caldeggiato; poi in uno sciopero che ha reso necessario annullare la Prima. Tuttavia l’“Allegra Mitologia” (Heitere Mythologie) è andata poi regolarmente in scena, e non ha deluso le attese.
Il regista (ed ex tenore) inglese ha proposto una forte simbiosi tra l’opera, le tragiche vicende belliche che ne incrociarono la realizzazione e la prospettiva esistenziale del suo autore. Una voce amplificata fuori scena, come fosse una registrazione d’epoca, introduce infatti all’opera con le parole che Strauss avrebbe pronunciato con gratitudine al termine della prova generale salisburghese, congedando gli orchestrali “con la speranza di rivederci in un mondo migliore”. E un mimo che impersona l’anziano compositore, sempre al fianco della sua Pauline, assiste al primo atto da un palchetto, entra in scena nel secondo, gestendo i personaggi e ballando con la sua sposa il valzer (che gioca un ruolo marcato anche in questa commedia mitologica), mentre il terzo si apre con un filmato d’epoca del vero Strauss alla bacchetta, che riappare poi in altre scene di vita quotidiana; è infine la villa di Garmisch a comparire in conclusione, come una sorta di domestico Valhalla. L’intento è quello di mostrare come la convinzione profonda di Strauss, ribadita con diverse sfumature in tante sue opere e in fondo anche dalla sua biografia: che l’amore e la bellezza alla fine siano in grado di trionfare su tutto, si sovrapponga perfettamente anche alla storia di Danae che, pur ossessionata dall’oro, preferisce l’amore terreno di un Mida privato dei suoi poteri a quello divino di Giove. Una speranza ostinata, perfino nei tempi terribili in cui l’opera si preparava ad andare in scena, nonostante nell’epistolario Strauss invero si lasci anche prendere dallo sconforto.
E il contesto bellico, purtroppo oggi di nuovo attuale, è coprotagonista sul palcoscenico, che presenta le rovine di un teatro bombardato. Quello realizzato da Dale e da Gary McCann è uno spettacolo complesso, animatissimo, che integra proiezioni, coreografie, utilizzando anche le strutture reali del teatro (il retropalco, le batterie di riflettori), ma nel quale trasposizione temporale e affollamento in scena (non manca Giunone, al fianco di un Giove assai corrucciato) non ostacolano la comprensione della trama e della natura dei personaggi, come invece assai spesso avviene: soltanto nel terzo atto il fatto che Danae e Mida conservino gli eleganti abiti indossati nei primi due non rispecchia la loro scelta di una vita in povertà, ma scaldata dall’amore; inoltre la visione di Dale del personaggio di Giove lo rende forse un po’ troppo umano, senza rendere giustizia a un’essenza sovrannaturale che la partitura comunque evidenzia (vedi l’apparizione nel primo atto) e che varrebbe a dar pieno risalto, poi, alla crepuscolare rinuncia all’amore di Danae.
E in effetti Die Liebe der Danae si è confermata opera per così dire riepilogativa, per il modo in cui ripropone situazioni e tematiche profondamente straussiane ma anche wagneriane (tra Viandanti e Figlie del Reno in vesti di Regine…), un’eco da Offenbach qui e un tocco mozartiano là. Opera percorsa da musica bellissima (pensiamo soprattutto agli episodi orchestrali) ma non entusiasmante dal punto di vista drammaturgico, in particolare per un terzo atto sostanzialmente superfluo, funzionale solo a dar luogo all’intenso commiato di Giove dall’amore umano. Un’opera che comunque meriterebbe di essere vista più spesso; il fatto che, dopo qualche anno di silenzio planetario, i primi mesi del 2025 l’abbiano vista in un nuovo allestimento anche a Monaco di Baviera, fa ben sperare nella chiave di una conquista di maggiore spazio in repertorio.

Michael Zlabinger, che da assistente di Luisi è stato promosso alla direzione, ha condotto con precisione l’orchestra del Carlo Felice (che in una partitura molto impegnativa ha dato globalmente un’ottima prova, nonostante qualche sbavatura degli ottoni); in alcuni episodi però si sarebbe desiderata maggiore leggerezza e ricchezza di sfumature dinamiche. Ormai una beniamina del teatro genovese, Angela Meade ha brillato meno che nelle precedenti occasioni: la voce rimane importante, il registro centrale cremoso, ma qualche puntata all’acuto è risultata un poco stridula e in generale il canto non ha dimostrato sempre la sontuosa e avvolgente sensualità necessaria per Danae, che risulta qui un poco algida. Ottimo invece il Midas di John Matthew Myers, che non solo ha sostenuto con sicurezza una parte vocalmente assai impegnativa, ma ha saputo dare accenti di notevole sincerità ad episodi come l’affranto monologo che segue alla trasformazione di Danae in oro. Scott Hendricks ha corrisposto alla visione registica un po’ diminutiva di Jupiter con un canto un po’ legnoso e ingolfato, povero di nobiltà; l’attore però si è dimostrato piuttosto brillante, nonostante la fastidiosa (e non proprio divina) abitudine di sfregarsi continuamente il naso. Eloquente il Pollux di Tuomas Katajala; un po’ più opaco nei mezzi, ma efficace anche il Mercurio paracadutista di Timothy Oliver. Valentina Farcas ha ritratto una Xanthe incisiva, trovando apprezzabili impasti con la Meade; irresistibili le quattro Regine (Anna Graf, Agnieszka Adamczak, Hagar Sharvit e Valentina Stadler). Lodi anche per il coro e per tutti gli altri cantanti, danzatori, mimi, e per le maestranze del Carlo Felice, capaci di padroneggiare uno spettacolo davvero articolato.
Roberto Brusotti
Foto: Marcello Orselli