ROSSINI La pietra del paragone A. Wakizono, M. De Liso, S. Pastrana, G. Margheri, E. Scala, M.Bussi, V. Taormina; Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari, direttore Francesco Ommassini regia e scene Giorgio Barberio Corsetti costumi Christian Taraborrelli
Cagliari, 14 ottobre 2016
Non era mai approdato a Cagliari, il melodramma giocoso di Gioachino Rossini e Luigi Romanelli La pietra del paragone, rappresentata in questi giorni come quinto appuntamento della Stagione lirica e di balletto 2016 del Teatro Lirico di Cagliari. Una bella sorpresa che il Teatro sardo ha inteso proporre avvalendosi della celebre produzione del 2007 curata dal Teatro Regio di Parma e dal Théâtre du Châtelet di Parigi, con regia, scene e video di Giorgio Barberio Corsetti e Pierrick Sorin, costumi di Christian Taraborrelli e luci di Gianluca Cappelletti. Si tratta di un’edizione tutta giocata sulla sperimentazione tecnologica, che a suo tempo ha giustamente vinto il Premio Abbiati per la “regia, scenografia e video” con la seguente motivazione: «aver fatto rivivere magìe ed effetti illusori del teatro antico, affidati a tecnologie contemporanee: lo sdoppiamento della scena, i dettagli dei protagonisti nei video in primo piano, la tinta americana dei colori squillanti, ma freddi come i quadri di Hopper, nei costumi chic alla Jackie Kennedy, esaltavano l’umorismo geometrico della scrittura rossiniana, conferendole chiave attuale ed esattezza cristallina». Tutte prerogative che, nonostante sia trascorso ormai quasi un decennio dal debutto dello spettacolo, continuano ad essere molto vive e ci consentono di comprendere il successo di questo allestimento, destinato a rilanciare l’appeal di un lavoro altrimenti relegato all’oblio dei lavori rossiniani che hanno preceduto il Tancredi.
Annunciato come uno spettacolo di grande impatto, La pietra del paragone non delude quindi le attese del pubblico cagliaritano, grazie in primo luogo all’acutissima rilettura di Corsetti, fondatore della storica compagnia La Gaia Scienza, e di Pierrick, tenace sperimentatore della “videoarte” e della multimedialità. L’ambientazione negli anni Sessanta del lavoro rossiniano aggiunge significato e restituisce attualità al libretto, che affronta un tema sempre centrale nel mondo occidentale: il denaro, ovvero l’autentica pietra del paragone, che consente alla società capitalista di vivere in una condizione di perpetua finzione. La scelta di smaterializzare le scene, ricreando tecnologicamente oggetti, luoghi e ambienti, inserisce scopertamente il gioco teatrale nella realtà virtuale, consentendo al pubblico odierno di accostarsi a un’opera dell’Ottocento con grande disinvoltura. E non stupisce, dunque, che tra il pubblico accorso nelle molte repliche in programma, il più divertito sia stato ovviamente quello dei giovani e dei giovanissimi, abituati all’artificio dei personaggi che si muovono nel nulla dei videogiochi.
Cantanti, Orchestra del Teatro e Coro sono stati guidati con mano ferma da Francesco Ommassini, molto abile nel governare il grande numero di personaggi in scena (in costante primo piano in schermi giganti) e nel rendere divertente la sensazione di déjà vu che assale gli spettatori più esperti e abituati all’autoimprestito di Rossini. In primo piano il conte Asdrubale di Gianluca Margheri, che canta molto bene e con tanta verve, pur lamentandosi a lungo delle donne interessate solo alla vil moneta; ottima la marchesa Clarice, interpretata da Aya Wakizono, molto a suo agio nel personaggio, sia scenicamente, che vocalmente, grazie alla tessitura piuttosto profonda richiesta dalla partitura e al suo fraseggio vario e spiritoso, ma sempre elegante. Eccellente il gioco di squadra delle due rivali di Clarice, Marina De Liso e Sandra Pastrana, nei panni rispettivamente di Aspasia e Fulvia, del Giocondo di Enea Scala e del Macrobio di Marco Bussi, così come dell’ottimo poeta comico, lo spassoso Pacuvio di Vincenzo Taormina. Un gioco di squadra di qualità guidato da Ommassini con forza nelle pagine di insieme (dove è più evidente la scioltezza del linguaggio rossiniano), come nel sestetto del primo atto, ma anche in quei momenti espressivi che irrompono nella narrazione, lasciando il pubblico sospeso in attimi di inaspettato e straordinario lirismo.
Myriam Quaquero