BUSSOTTI Arlequin poupi per 5 strumenti, Couple per flauto e pianoforte, Per tre sul piano SCHÖNBERG Pierrot lunaire, 3 volte 7 poesie da Albert Giraud (nella versione tedesca di Otto Erich von Hartleben) per voce e 5 strumentisti op. 21 voce Cristina Zavalloni mdi ensemble, direttore Marco Angius
Reggio Emilia, Cavallerizza (Festival Aperto) 5 ottobre 2022
Quanto dev’essersi divertito il burattino Sylvano, monello geniale tutto spiriti e fantasia (non mi parli di ‘rigore’ per Bussotti, maestro Angius, per piacere: non far le cose a caso, padroneggiare la forma, non trasforma in rigoristi!), a scrivere musica da affiancarsi a quella del Gran Burattinaio Schönberg. E non a un’opera qualsiasi, ma all’epocale capolavoro che, in un colpo solo, faceva piazza pulita delle vecchie regole del comporre stabilendone di nuove – queste sì –, rigorosissime: Pierrot lunaire. Lo fece, Bussotti, opponendo alla maschera straziata dalla lacrima perenne del bronciuto Pierrot, il caleidoscopico Arlecchino, che non cessò da burla nemmeno in confessione.
Il risultato del lavoro bussottiano è una liricissima ‘sinfonia degli addii’, ove il famoso spegnimento della candela è aggiornato a un meno formale svolazzo dello strumento che se n’esce, un tantino piccato: quasi una pantomima. Dal punto di vista dell’espressione musicale verrebbe da dire che qui (o anche qui) Bussotti coniuga l’ironia talvolta sarcastica di Stravinski con la liricità di Berg, strapazzata dal bruciante strutturalismo weberniano. Un’introduzione perfetta allo show del Pierrot, al quale la presenza della voce aggiunge – rispetto al solo strumentale Arlequin di Bussotti – una sorta di basso continuo fatto di macchie sonore anziché di accordi. Le “tre volte sette” poesie del Pierrot lunaire sono, infatti – in questo concordo pienamente con Marco Angius, che con poche e ben calibrate parole ha introdotto il programma della serata –, non Lieder diversamente intonati, ma brani strumentali con l’aggiunta di una voce. E sono stati tali specialmente nella esecuzione di Cristina Zavalloni, che ha rinunciato in partenza, si direbbe, a dare una sia pur larvale parvenza di Gesang al suo sprechen, rifugiandosi in un’enfatizzazione “espressionistica” degli accenti, con qualche suono strascicato a scandire il ritmo. Bastava a inquadrare i caratteri dominanti nelle tre parti dell’opera – esplicitati anche dal sempre benissimo fatto programma di sala del teatro reggiano –, ossia la satira, il macabro, la malinconia; ma non coglieva l’espressione, il senso, il colore precipuo di ciascun brano, pei quali sarebbe servita una più varia intonazione. Quale seppero trovare, ad esempio, Erika Stiedry-Wagner (sotto la guida dello stesso Schönberg), Irmen Burmester alla RIAS nel ’49, Bethany Beardsley (con lo “stravinskiano” Robert Craft), Mary Thomas con David Atherton (per l’afflato lirico dell’interpretazione strumentale, non troppo dissimile da quanto ascoltato a Reggio), Karin Ott Königin der Nacht o, memorabile con Pierre Boulez, Christine Schäfer, anche in una realizzazione cinematografica – pur psichedelicamente post-espressionista – di Oliver Herrmann.
Molto originale e ricca, anche di sfumature, la lettura di Angius e dell’mdi ensemble (carissimo a Bussotti) ritmata sull’elasticità d’uno struggente lirismo, fatto di timbri ma nient’affatto privo d’una sua interiore, squisita, affettuosa melopea.
Come sperimentata tradizione dell’mdi ensemble, le tre parti del capolavoro di Schönberg sono state inframmezzate da altri inserti bussottiani, i quali, anziché favorire la soluzione di continuità dell’opera, fungevano da connessione tra le sezioni, accentuandone ulteriormente l’unitarietà drammatica. La separazione era solo nell’alternanza tra l’ironia allucinata e un poco tetra nel monodramma di Pierrot e l’ironia come pittura disincantata del tragico che Bussotti sembra quasi aver mutuato dal maestro dell’ironia noir, Ernst Lubitsch.
Finale in apoteosi, col bis dell’Uccellino di Puccini, “colorato” (parola di Cristina Zavalloni) con tanto di fischio da Bussotti: geniale la colorazione, formidabile la realizzazione tutta in-canto di strumentisti e vocalista.
Bernardo Pieri