Diffusione della musica. Educazione dei giovani. Due temi cardine e tra loro strettamente correlati, di cui ovunque da sempre si parla e straparla, ma che senza dubbio sono fondamentali per la sopravvivenza, più che della musica classica, del modello produttivo che da un secolo scarso ne permette l’esecuzione nei Paesi occidentali, secondo sistemi economici e culturali certo diversi ma che vedono la presenza di un sostegno pubblico alla cultura.
Senza voler trarre considerazioni definitive, mi piace portare una testimonianza di un incontro cui ho partecipato lunedì 15 gennaio, dal titolo “La bellezza ha tempo”, ideato dal Maestro Massimiliano Caldi e svoltosi al Liceo Artistico milanese “Sacro Cuore”, nella zona di Lambrate, sull’onda dell’entusiasmo singolare che un nutrito gruppo di studenti aveva manifestato dopo avere assistito, lo scorso 21 settembre, ad un concerto dell’Orchestra Mozart diretta dal Maestro Daniele Gatti al LAC di Lugano. Con molta generosità, Gatti ha risposto positivamente all’invito di Caldi e, grazie alla collaborazione del Prof. Lorenzo La Rocca e del Preside Pietro Crivellente, ha incontrato gli studenti per quasi due ore nel teatro dell’istituto, rispondendo alle loro domande e fornendo a sua volta stimoli di riflessione.
Assolutamente sorprendente (almeno per me!) è stata la concentrazione assoluta degli studenti nonché la qualità davvero alta delle domande poste a Gatti, che hanno indagato sia questioni pratiche legate al fare musica, sia aspetti filosofici. Cerco di sintetizzare i temi trattati. Anzitutto il Maestro Gatti ha cercato di stabilire un punto di incontro con i liceali: cosa vuol dire musica classica, cosa vuol dire musica leggera? L’assenza del testo è certo, per ragazzi di quell’età, un punto discriminante e difficile da accettare: ma Gatti ha ribaltato la questione, perché sostituendo la grammatica testuale con la grammatica armonica, la musica strumentale chiede all’ascoltatore uno sforzo di immaginazione. Cui forse non si è più abituati: e quella mezz’ora senza cellulare (almeno in teoria…) potrebbe diventare preziosa anche per questo. D’altronde, ha insistito Gatti con simpatici paragoni calcistici, è sbagliato dire che serva una cultura specifica per ascoltare musica classica: basta un’apertura mentale e del cuore.
Si è poi parlato del valore sociale di una “serata al concerto”: l’aperitivo prima, la pizza dopo, la socializzazione (oggi non più scontata) con coetanei e non.
Quindi le domande: alcune delle quali io stesso porgo frequentemente agli artisti che mi capita di intervistare. Qual è il ruolo dell’interprete di fronte al compositore? E Gatti ha sottolineato come il “talento” – termine suggestivo ma generico – è importante ma poco utile se non indirizzato da uno studio metodico e preciso. Come si pone un direttore davanti all’orchestra, ossia quanto tiene in conto la personalità dei singoli musicisti? E qui Gatti ha sottolineato l’importanza di un atteggiamento non coercitivo, facendo interessanti paragoni con il mimo (che “costruisce” una storia senza parlare) o con il pilota d’aereo.
E poi tanti altri temi: la paura di commettere errori, il teatro verdiano come indagatore della psicologia umana (quindi modernissimo), come si memorizza uno spartito, il concetto di tradizione e l’importanza della soggettività dell’ascolto. E l’indicazione di come la differenza tra un concerto e l’altro, magari in una serie di repliche, la faccia il pubblico con la sua concentrazione e disponibilità all’ascolto. E alla fine questo, io credo, sia restato agli studenti: la sensazione forte che il mondo della musica classica non sia una turris eburnea ma una possibilità di esperienze forti e diverse, che non sono moderne o antiche ma senza tempo, perché vanno parlare direttamente a loro stessi. Incontri come questo, forse, sono una delle chiavi per scardinare troppi pregiudizi.
Nicola Cattò