CIAIKOVSKI Romeo e Giulietta SAINT-SAËNS Concerto per violoncello e orchestra n. 1 SIBELIUS Sinfonia n. 2 op. 43 violoncello Sol Gabetta Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Mikko Franck
La tournée dell’Orchestra ceciliana ha coinciso, per la tappa milanese, con il concerto che Vidas — l’associazione che si occupa dell’assistenza ai malati terminali di cancro — organizza per i propri sostenitori: lo scopo della raccolta fondi era il sostegno del progetto pediatrico Casa Sollievo Bimbi, il nuovo hospice pediatrico, tra i primi in Italia, che sta sorgendo accanto a Casa Vidas. Un concerto lungo, coerente nella sua architettura e di eccellente livello musicale: non fosse altro che per la mera qualità tecnica dell’Orchestra di Santa Cecilia, che si conferma una volta di più la migliore del nostro paese, in grado di sostenere senza arrossire il confronto con le grandi compagini europei: la compatta setosità degli archi, l’infallibilità di corni e ottoni sono fra gli atouts più ammirevoli, che sono stati evidenti fin dall’iniziale Romeo e Giulietta di Ciaikovski, nonostante una lettura non più che di routine, che con benevolenza si potrebbe immaginare assimilata, nei colori e in un fraseggio piuttosto rigido, al Sibelius della seconda parte, ma che più realisticamente descriverei come anonima e professionale.
Tutt’altro piglio imprimeva Sol Gabetta al Primo concerto per violoncello di Saint-Saëns, pagina forse non memorabile ma che come poche altre mette in mostra le possibilità dello strumento e l’abilità di chi lo maneggia: già nelle prime battute, la talentuosissima argentina colpiva per la libertà quasi rapsodica di tempi e ritmi, per i colori continuamente cangianti, per quella capacità di reinventarsi ad ogni battuta, ascoltando l’orchestra in uno scambio reciproco. Una fascinazione proseguita nel sognante bis, una trascrizione per violoncello solista e ensemble di violoncelli di Après un rêve di Fauré. Franck, dal canto suo, giocava in casa con la stupenda Seconda sinfonia di Sibelius, e non ha deluso, con una lettura spigolosa, antiretorica e lontana da ogni suggestione post-romantica: una volta di più la grandezza del compositore finlandese, ormai affrancato dalle idiote critiche del circolo darmstadtiano, è apparsa evidente grazie ad una lettura matura e coerente, anche se forse priva della scintilla di mistero che un Bernstein sapeva infondere. E la generosità di Franck e dell’Orchestra si è confermata con il bis: una Valse triste che, per l’affascinante equilibrio tra melancolia e rievocazione, tra kitsch e pathos, era forse la cosa migliore della lunga serata.
Nicola Cattò