Kees Vlaardingerbroek, direttore artistico di Coro e Orchestra filarmonica della Radio nazionale olandese, cura la programmazione della ZaterdagMatinee, popolare ciclo di concerti del sabato ospitato dal Concertgebouw. In un precedente articolo segnalato dalla nostra rivista aveva criticato la riscrittura politically correct dei libretti d’opera; ora interviene di nuovo su un tema caldo: il canone della musica classica dev’essere ampliato oppure buttato a mare in obbedienza ad istanze politiche estremiste? Offriamo qui una sintesi del suo intervento, comparso il 23 aprile 2019 sul quotidiano di Amsterdam «de Volkskrant».
Negli anni ’60 il Partito socialdemocratico allora egemone (PvdA) organizzava concerti a base di Bach, Beethoven e Brahms per «tenere i lavoratori lontano dall’osteria» e permettere a chiunque di conoscere le somme realizzazioni della cultura musicale occidentale. Trent’anni dopo l’azione combinata del relativismo di sinistra («tutte le culture si equivalgono») e del neoliberismo di destra («se volete feste musicali pagatele di tasca vostra») ha dato inizio ad una rapida erosione dell’infrastruttura culturale in Olanda. Scuole di musica, orchestre, biblioteche sono scomparse oppure si sono «adeguate al mercato». In anni più recenti l’istanza politica delle pari opportunità, in sé una nobile battaglia contro le discriminazioni di razza e di sesso, ha causato nuove pericolose distorsioni. Una rilevazione statistica sui BBC Proms, condotta dalla compositrice britannica Joanna Ward, lamenta che nella stagione corrente le nuove commissioni sono andate per il 45% a donne, ma per una durata media di soli 13,5 minuti contro 21 per i maschi. L’autrice conclude che nella musica contemporanea sopravviverebbe una «egemonia patriarcale». Dunque si devono introdurre «quote rosa» (o nere, o gialle) ancor più rigide o non sarebbe meglio procedere a concorsi in busta chiusa?
Ma se la signora Ward analizza le pratiche attuali, le sue colleghe più estremiste prendono di mira il passato con l’obiettivo di adeguare anche quello alle loro norme politiche. Non ci sono fra i compositori del primo Settecento equivalenti neri o femminili di un Bach? Le/i radicali rispondono che Bach è stato collocato su un piedistallo fin troppo alto dai nazionalisti tedeschi dell’Ottocento. Sul «Daily Telegraph» del 15 aprile scorso Lucy Noble, direttrice artistica della Royal Albert Hall, sostiene che il dominio dei «titani maschi e bianchi» è responsabile per il disinteresse dei giovani verso la musica classica. Giusto richiamare l’attenzione sulla musica delle donne e delle minoranze, ma così si butta il bambino con l’acqua sporca subordinando i valori artistici a considerazioni politiche. Sostiene Kees Vlaardingerbroek: «Considerare Bach un genio assoluto senza trascurare la sua contemporanea Camilla de Rossi, come io ho cercato di fare nell’ambito della ZaterdagMatinee, è opzione inaccettabile per quei circoli». E così conclude: «È un equivoco pensare che il “nostro” passato vada riscritto o cancellato per via dei suoi innegabili lati oscuri. Questi non vanno negati, bensì discussi con equilibrio. Al contempo è cinico e distruttivo non riconoscere che la storia della musica occidentale ha prodotto ricchezze incommensurabili. Godiamole in pieno senza sensi di colpa».
Kees Vlaardingerbroek (redazione di Carlo Vitali)