VERDI Un Ballo in Maschera F. Meli, L. Tézier, S. Radvanovsky, S. Coliban. J. Park, F. Guida; Orchestra e coro del Teatro alla Scala direttore Giampaolo Bisanti maestro del coro Alberto Malazzi regia, scene e costumi Marco Arturo Marelli
Milano, Teatro alla Scala, 22 maggio 2022
Della regia ideata da Marco Arturo Marelli per questo Ballo scaligero si è già molto (s)parlato: dai corvi impagliati nell’orrido campo, alla Morte in tuta nera con violino, al bambino con l’orsetto di peluche. E poi il teatrino in miniatura in cui Riccardo, metafisicamente (!), si osserva agire, le quinte semoventi con una prospettiva dipinta della sala scaligera. Teatro nel teatro? Teatro oltre il teatro? Insomma, mancavano solo il busto d’Alfieri e di Napoleone, e le buone cose di pessimo gusto (teatrale) c’erano tutte. Quanto ai costumi, erano del tutto privi di un criterio stilistico omogeneo: Riccardo era in maniche di camicia come un borghese di oggi nel salotto di casa, ma ogni tanto gli venivano manie di grandezza: indossava un manto a strascico e si faceva issare su una sedia gestatoria. Insomma, pareva di capire, un governatore solo in apparenza democratico, che mostrava invece pulsioni autocratiche. Ma, se così era, l’idea di mettere i congiurati in divisa da gerarchi fascisti (e come, se no?) appariva incoerente, viste le loro motivazioni anti-tiranniche e libertarie. Per non parlare dei cambi d’abito incongrui di Oscar e dei goffi domino (il mantello con cappuccio, da cui il titolo originale dell’opera) indossati dai congiurati al ballo.
Hanno anche suscitato qualche protesta gli interventi sul testo (“Ulrica dell’immondo sangue dei negri” sostituita con “Ulrica, del demonio maga servile”, e “Addio diletta Amelia” anziché “diletta America”), chiaramente fatti per accarezzare il pelo del mainstream per il verso giusto.
Ma, nonostante tutto, e sospendendo l’incredulità al massimo, queste scelte registiche non intaccavano il nesso logico-emotivo-drammaturgico tra testo e musica, sempre perseguito da Verdi: la creazione, cioè, di un impasto musicale che rispecchiasse l’andamento del dramma nelle psicologie e nelle situazioni sceniche. Questo meccanismo è andato però in tilt nella scena del ballo e dell’accoltellamento, pensata musicalmente da Verdi come un confronto tragico tra i due antagonisti immerso in una babele di maschere che si divertono ignare. Al contrario, Marelli mette Riccardo e Renato da soli in scena, in domino ma senza maschera, vanificando così la tensione musicale, e quindi drammaturgica, derivante dal contrasto tra l’allegra confusione della festa e il dramma umano che in essa cova ed alla fine esplode.
Dopodiché, dal lato del canto è andata decisamente molto meglio. Nel cast alternativo era molto attesa la prova di Ludovic Tézier che subentrava a Luca Salsi. Il baritono francese non ha deluso le aspettative, confermandosi uno dei migliori baritoni a livello internazionale, ed è stato premiato alla fine dal pubblico con applausi calorosi. Con una perfetta dizione, un’emissione impeccabile, il contegno signorile, si è dimostrato un baritono verdiano che più verdiano non si può. Ai massimi livelli anche il Riccardo di Francesco Meli, che è ormai uno dei tenori di riferimento per questo repertorio, e non solo in Italia, grazie ad un fraseggio e un legato accurati, un timbro chiaro e profondo, una emissione mai forzata e una presenza scenica sicura.
Meno convincente Sondra Radvanovsky: i suoi acuti, presi un po’ troppo prudentemente in fase iniziale, si aprivano repentinamente e senza gradualità, rendendo il timbro alquanto metallico, mentre la tessitura grave risultava piuttosto cupa. Tuttavia, quando si è trattato di dispiegare il canto, ci ha regalato una intensa ed emozionante “Morrò, ma prima in grazia”. Senza dubbio, è un’artista di gran livello, ma forse il personaggio di Amelia non le è del tutto congeniale.
Per quanto riguarda il resto del cast, Federica Guida ci ha offerto un Oscar dal tono brillante e dalle movenze agili, mentre la Ulrica di Okka von der Damerau è apparsa ben disegnata, omogenea e sicura nei passaggi di registro. Anche i due cospiratori Sorin Coliban (Samuel) e Jongmin Park (Tom) hanno offerto una buona prova.
L’orchestra era diretta da Giampaolo Bisanti, che ha mostrato una personalità sicura, riuscendo a ottenere colori efficaci e dinamiche adeguate, con attacchi precisi e mantenendo il racconto musicale teso e fluido. Il Coro della Scala, diretto da Alberto Malazzi è stato inappuntabile.
Lorenzo Fiorito
(La recensione della prima è su MUSICA di giugno)
Foto: Brescia e Amisano / Teatro alla Scala