VERDI La traviata, R. Iniesta, P. Lardizzone, S. Piazzola, E. Belfiore, F. Napoleoni, I. Casai, A. Ceccarini, T. Corvaja, G. Marcello, T. Tomboloni, M. Innamorati; Coro Archè di Pisa, FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana, direttore Nir Kabaretti regia e luci Henning Brockhaus movimenti coreografici Valentina Escobar scene Josef Svoboda ricostruzione scenografica Benito Leonori costumi Giancarlo Colis
Jesi, Teatro Pergolesi, 57^ Stagione Lirica, 22 dicembre 2024
Per tanti melomani marchigiani (e non solo) questa è “la” Traviata, quella “degli specchi”, quella che è impossibile non aver visto almeno una volta in almeno una delle innumerevoli riproposte che, non solo a Macerata ma in decine di altri teatri, si sono susseguite dal 1992, anno della sua prima volta assoluta allo Sferisterio. E a ogni suo riproposta ci si chiede se ormai non sia il caso di provare a sostituirla con un altro allestimento, salvo poi ritornare ad osservare ammirati un’idea geniale nella sua semplicità che, benché lievemente sacrificata negli spazi chiusi del Teatro Pergolesi (è solo allo Sferisterio che questo spettacolo rivela il 100% del proprio potenziale), non manca ogni volta di suscitare un brivido di commozione: quando al canto di Germont scompare la casa di campagna per rivelare un campo di margherite, sogno impossibile di una redenzione sociale della prostituta protagonista o quando, al finale, lo specchio si solleva e inquadra il pubblico, la sua commozione ipocrita, inglobandolo nella morte di Violetta. Ed è uno spettacolo che resiste anche ai cambiamenti di regia di Henning Brockhaus, che in realtà si è dimostrata piuttosto sobria in quest’occasione jesina (eccessiva, però, l’esultanza di Annina al momento di consegnare la lettera di Douphol nel II Atto), sfruttando al massimo tutte le potenzialità offerte da uno spazio teatrale decisamente meno dispersivo della grande arena maceratese. Musicalmente si è trattato di una performance di buon livello, guidata con passo teatrale spedito da Nir Kabaretti a capo della FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana e del Coro Archè di Pisa, con un cast notevole, in cui ha spiccato la protagonista. Ruth Iniesta firma una Violetta giovane, impetuosa, nervosa e intensa nell’espressione, con tratti forse non originali (è difficile dire qualcosa di veramente nuovo in un’opera così tanto eseguita) ma di sicuro non troppo frequenti ed è proprio questa sensazione di giovinezza quasi indifesa il lato più affascinante della sua interpretazione, accompagnata da un’esecuzione vocale di tutto rispetto, in grado di venire a capo di tutte le asperità della parte senza mai perdere il controllo dell’emissione e dell’espressione. Bravissima e, per lei, meritato trionfo al termine. Bene anche Simone Piazzola, che conosce il ruolo di Germont anche capovolto e che si giova delle ridotte dimensioni del teatro jesino per esaltare la morbida brunitura del suo timbro e un volume che risuona notevole e impressionante: qualche gigionata in un paio di note tenute allo spasimo per suscitare l’applauso del pubblico (arrivato peraltro puntuale) non inficiano una prova salutata da meritate ovazioni. Un po’ più in ombra l’Alfredo di Paolo Lardizzone, dalla buona dizione ma con qualche occasionale durezza in acuto e nella zona di passaggio. Un po’ alterno ma decoroso lo stuolo dei comprimari. Teatro chiaramente gremito (del resto c’era anche bisogno di un titolo di grande repertorio a chiusura di una stagione composta da Vestale, Il turco in Italia e la rara riproposta dei Quadri parlanti) con ovazioni e applausi calorosissimi per tutti gli artefici dello spettacolo.
Gabriele Cesaretti