MASCAGNI Cavalleria rusticana E. Garanča, B. Jagde, F. Di Sauro, R. Burdenko, E. Zilio LEONCAVALLO Pagliacci I. Lungu, F. Sartori, R. Burdenko, J. Xiahou, M. Olivieri; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, direttore Giampaolo Bisanti regia Mario Martone scene Sergio Tramonti costumi Ursula Patzak
Milano, Teatro alla Scala, 23 aprile 2024
Sarebbe bello capire quali sono i criteri che stanno dietro alle riprese degli allestimenti scaligeri, alcuni dei quali sciaguratamente eliminati (mi è stato detto che lo spazio dei magazzini a Milano è così caro che spesso conviene distruggere e rifare…), come la Fanciulla di Carsen — per fare un solo esempio — ed altri riproposti sino allo sfinimento. In ogni caso, il dittico par excellence, Cav-Pag, con la regia di Martone, era nato nel 2011 con la splendida direzione di Harding, riproposto nel 2015 con quella assai più pedestre di Rizzi ed ora torna in scena affidato a Giampaolo Bisanti che, spiace dirlo, si è rivelato l’elemento più deludente della serata, specie in Cavalleria: indeciso tra concitazione drammatica e solennità della narrazione, la sua è risultata una concertazione sfilacciata, imprecisa (e l’orchestra non ha certo fornito una prova commendevole, al contrario dell’ottimo coro) e timbricamente opaca. Un po’ meglio nell’opera di Leoncavallo, che però è parsa pigramente adagiata su una tradizione assai stanca, comprese tutte le varianti testuali e — vergogna! — persino l’osceno taglio nel duetto Nedda-Silvio.
Lo spettacolo di Martone, però, si conferma di altissimo livello, specie nella prima parte del dittico: una Cavalleria depurata da ogni elemento folkloristico o oleografico, tutta ambientata in un interno (la chiesa, probabilmente) abitato, come in una tragedia greca, dal coro con le sue sedie, e dominato da un grande crocifisso. Per il resto, un sapiente gioco di luci a suggerire atmosfere e stati d’animo: teatro allo stato puro, efficacissimo ed emozionante, nonché un contesto perfetto per la Santuzza statuaria, composta e drammaticissima di Elīna Garanča. La quale non si limita solo a fornire una lezione di canto (emissione perfetta, in alto e in basso, compatta e uniforme; legato da manuale), ma esalta il dramma interiore della protagonista senza rinunciare ad esplosioni emotive tanto più intense quanto temporanee. Peccato solo per una dizione non perfetta: l’utilizzo più efficace delle doppie, a dirne una (“Io son dannata”), sarebbe auspicabile. Brian Jagde è un Turiddu robusto e tradizionalissimo, dagli acuti notevolmente squillanti, mentre Elena Zilio è una sorta di perpetuo miracolo teatrale (e che bellezza quella dizione così scolpita); elegantissima l’emissione della Lola di Francesca Di Sauro e dignitoso il Compar Alfio di Burdenko, che però non lascia alcuna traccia.
Martone immagina poi i Pagliacci in un contesto di una periferia degradata, sotto un cavalcavia abbandonato, che ospita l’arrivo di una scalcagnata compagnia di artisti di strada tra roulotte scassate e furgoni scalcinati (Tonio netta le macchine, non il somarello…). Niente di nuovo, persino Zeffirelli aveva immaginato una soluzione simile: ma quello che fa la differenza è la vivacità dei dettagli, il continuo sfondamento della quarta parete — grazie a due praticabili sopra l’orchestra, ai lati — che danno alla narrazione una freschezza, un’intensità e una forza teatrale semplicemente eccellenti: anche perché Irina Lungu, il cui strumento in sé non ha nulla di eccezionale, fornisce una prova non dimenticabile per intensità e sottigliezza psicologica, dipingendo ella alla perfezione una figura di donna inquieta e piena di vita, sensuale eppure coperta di polvere e sudore, di fatica e disperazione. Fabio Sartori ha i soliti pregi (solidità, squillo in acuto) e difetti (una linea non rifinita come si potrebbe, un fraseggio generico): ma raramente l’ho visto così coinvolto come attore, riuscendo persino a sfruttare la sua imponente fisicità. Anche in Pagliacci Burdenko si conferma modesto, mentre Olivieri è un Silvio di bella prestanza vocale e scenica. Successo molto franco, con punte di gradimento per le due primedonne e Sartori.
Nicola Cattò
Foto: Brescia e Amisano, Teatro alla Scala