MESSIAEN Et exspecto resurrectionem mortuorum RAVEL Une barque sur l’océan; Daphnis et Chloé, suites n. 1 e n. 2 Filarmonica della Scala, direttore Riccardo Chailly
Lugano, LAC, 16 gennaio 2024
Nell’ampio repertorio di Riccardo Chailly, il ‘900 (storico o meno, secondo categorie ormai un tantino superate) ha sempre rivestito un’importanza notevole: e i risultati da lui ottenuti, nelle varie fasi della sua carriera, sono stati invariabilmente di altissimo livello. Non stupisce quindi l’esito altissimo del concerto che ha aperto la stagione 2024 della Filarmonica della Scala, e a cui ho assistito il giorno successivo nella sede, acusticamente ben più felice, del LAC di Lugano, per il cartellone di Lugano Musica: accostando il Ravel del Daphnis et Chloé (non solo la seconda suite, ma anche la prima, di ben più sporadico ascolto: in tal modo si suonano sei dei dodici numeri del balletto originale) al raro Messiaen di Et exspecto resurrectionem mortuorum, Chailly stabilisce legami evidenti e meno tra due esponenti sommi dei “due Novecento” francesi, affermando poi la sua felicità nell’approccio in virtù di letture tecnicamente smaglianti e dalla personalissima risoluzione interpretativa.
Ma andiamo con ordine: Et exspecto, commissionata a Messiaen nel 1963 da André Malraux, ministro della cultura francese all’epoca, è un imponente Requiem per le vittime delle due guerre mondiali, che nel riferimento diffuso alla Sacra Scrittura (ognuna delle cinque parti è preceduta da — ed ispirata a — estratti biblici) è un potente grido di pace, non scevro da tensioni e sofferenze. L’organico particolarissimo, composto da fiati e percussioni (sei esecutori), è sottoposto in partitura ad una serie dettagliata di prescrizioni, sia in materia timbrica che tecnica, con riferimenti al tipo di suono che deve essere prodotto, la sua durata, e persino alla lunghezza delle pause fra i movimenti: tutte indicazioni ovviamente raccolte e rispettate da Chailly, che in più ha saputo esaltare la particolare risonanza della sala, conferendo una dimensione plastica al suono. Molto lontano, ad esempio, dalla lettura “ascetica” e analitica di un Boulez, il direttore milanese ha conferito carne e sangue alla scrittura di Messiaen, in un crescendo emotivo che ha avuto il suo culmine nell’ultimo movimento, “Et j’entendis la voix d’une foule immense”.
Poco sembrerebbe avere a che fare questa scrittura con Ravel, e specie con il Ravel proposto ieri sera: sia quello spiccatamente impressionista di Une barque sur l’océan, terzo pannello dei Miroirs orchestrato da Ravel stesso, che quello arcaicizzante di Daphnis. Affrontando il quale Chailly rinuncia a ogni suggestione flou, a ogni pur affascinante indefinitezza di contorni, prediligendo linee nette e luminose, dai profili sempre leggibili, che però non rinunciano alla giusta libertà agogica e, quando serve, ad un vero e proprio furore espressivo, come nella danza che conclude la seconda suite. Quasi a ricordarci che questo balletto è di soli due anni anteriore al Sacre, e vive dello stesso clima espressivo, quello dei Balletti Russi.
Impeccabile la prova dell’orchestra scaligera: forse sovradimensionata negli archi per l’acustica generosa del LAC (ma certo non per quella più sorda della Scala, la sera prima), ma senza che questa abbondanza giungesse mai a rovinare equilibri sonori perfetti. E che ha confermato l’eccellenza dei legni, impegnatissimi dal primo all’ultimo istante del concerto.
Nicola Cattò
Foto: Chiara Carrera