CIAIKOVSKI La donna di picche A. Soghomonyan, E. Stikhina, V. Sulimsky, B. Pinkhasovic, D. Soffel, A. Akhmetshina, E. Akimov, A. Sivko, C. Poncet de Solages, M. Kurmanbayev, M. Nekrasova, J. Lichti, S. Czeprunyi; Coro Filarmonico Slovacco, Cantus Juvenum Karlsruhe, Berliner Philharmoniker direttore Kirill Petrenko regia Moshe Leiser e Patrice Caurier scene Christian Fenouillat costumi Agostino Cavalca luci Christophe Forey
Baden-Baden, Festspielhaus, 18 aprile 2022
Un’opera in versione scenica mancava a Baden-Baden da ben tre anni, segnatamente dal festival di Pasqua 2019 (Otello, diretto da Zubin Mehta, regia di Bob Wilson). Il festival di Pasqua 2020 avrebbe dovuto segnare il debutto operistico in loco di Kirill Petrenko alla testa dei “suoi” Berliner Philharmoniker con Fidelio (regia di Mateja Koleznik), poi cancellato a causa della pandemia; parimenti cancellata la produzione di Mazeppa di Ciaikovski del 2021 con lo stimolante (sulla carta) abbinamento Petrenko-Tcherniakov (recuperata poi nell’ottobre 2021, ma in forma di concerto).
L’elemento centrale del Konzept registico del duo Leiser-Caurier — al cui servizio Christian Fenouillat disegna una spettacolare scenografia a due piani — è un postribolo nel periodo della belle époque, a cavallo cioè tra XIX e XX secolo. Lisa e Polina sono due prostitute, la Contessa l’anziana tenutaria. Ne sono frequentatori il conte Tomskij, omosessuale, e il principe Eleckij, che pratica il bondage proprio nel momento in cui protesta a Lisa il suo “immenso amore”. All’apparenza anche Hermann — dedito all’alcol, oltre che disadattato — è un cliente del lupanare, forse meno assiduo, dato il suo stato di indigenza economica. Hermann si invaghisce di Lisa e progetta di strapparla al suo triste destino mediante una vincita al gioco; salvo farsi prendere la mano dal demone del gioco stesso: alla fine sarà lui a uccidere Lisa (sia pur preterintenzionalmente), scaraventandola violentemente nella vasca da bagno del suo boudoir (niente tuffo suicida nelle gelide acque della Neva, dunque). Per “speziare” ulteriormente la loro rilettura, Leiser e Caurier aggiungono altri elementi, come per esempio l’attrazione omoerotica di Polina per Lisa (per rafforzare la quale cancellano il personaggio di Maša che diventa un tutt’uno con Polina stessa). La Pastorale del secondo atto, ça va sans dire, è rappresentata come uno spettacolino scollacciato, durante il quale, tra l’altro, l’allegra brigata del bordello si prende gioco della Contessa-Maîtresse travestendola da Caterina Imperatrice di Russia, con tanto di corona e crinolina. La Contessa sta al gioco… o forse ci crede; insomma: non si capisce se ci è o ci fa. La prima e l’ultima scena si svolgono in un ambiente disadorno, con un lungo tavolo orizzontale e alcune sedie come unici elementi di arredo; ambiente reso vagamente claustrofobico dal soffitto basso e incombente. A consuntivo: concetto di base interessante, cui tuttavia non giovano alcune divagazioni e che comunque necessita di una certa indulgenza per sorvolare sulle incongruenze rispetto al libretto.
Ascoltare i Berliner in una partitura così ricca dal punto di vista della dinamica e dei colori orchestrali è indubbiamente un’esperienza che non si dimentica. La definizione dei dettagli strumentali — complice anche la straordinaria acustica del pur vasto Festspielhaus — è sempre incredibilmente nitida. In altre occasioni si è tuttavia avuto modo di stigmatizzare la tendenza della compagine berlinese a privilegiare una concezione sinfonica di una partitura operistica, trascurandone le esigenze drammatiche (es. la Tosca del 2017 diretta da Rattle proprio a Baden-Baden); ma in quel caso la responsabilità stava ovviamente nel “manico”. Il rischio di una dimostrazione di onnipotenza fine a se stessa — ossia non funzionale ad un “racconto“ — è qui evitato grazie alla sensibilità teatrale di Kirill Petrenko, che ammansisce e convoglia la strabordante energia sonora dei Berliner e la loro precisione chirurgica nei binari di una vera e propria narrazione. Prova ne sia la trasparenza con la quale i frequenti richiami motivici emergono dal tessuto strumentale, contribuendo a veicolare le sfaccettature psicologiche dei personaggi; e prova ne sia anche il supporto offerto alle voci, mai coperte e, anzi, sempre sostenute e avvalorate nei loro sforzi di proporre un fraseggio sfumato. Si aggiunga un arco dinamico che si estende dai pianissimi eterei ai fortissimi sconquassanti di cui i Berliner custodiscono il segreto, e si avrà la misura di una concertazione che coniuga come meglio non si potrebbe musica e teatro.
Arsen Soghomonyan dispone di voce poderosa e scura (aveva iniziato la carriera come baritono), ma anche sufficientemente flessibile per fraseggiare con apprezzabile varietà e mettere quindi in evidenza la contraddittorietà delle pulsioni che animano il suo Hermann spiritato e ardente. Subentrata pochi giorni prima del debutto a Elena Bezgodkova (che a sua volta era subentrata ad Asmik Grigorian), Elena Stikhina sfoggia un timbro morbido e omogeneo lungo tutta la gamma, governato da una tecnica rifinita: la voce si proietta con facilità e insolenza nella grande sala del Festspielhaus. Sul piano interpretativo, la sua è una Lisa patetica e toccante, cui non fa difetto, quando necessario, lo slancio drammatico. Ancorché meno tormentata e carismatica rispetto alla Lisa di Asmik Grigorian, ammirata recentemente alla Scala, il soprano russo esibisce una recitazione curata ed espressiva. La voce usurata di Doris Soffel è funzionale al ritratto di una Contessa volutamente grottesca: nell’atteggiamento, nelle movenze, perfino nel trucco; un tipo di caratterizzazione di questo personaggio che generalmente non apprezzo ma che, nella circostanza, mi è parsa congeniale alla concezione della messa in scena. Vladislav Sulimsky trasmette incisivamente la natura ambigua di Tomskij, mentre dietro il timbro soffice e l’allure aristocratica di Boris Pinkhasovich si cela un Eleckij ipocrita e brutale: entrambi molto ben cantati e coerenti, dal punto di vista interpretativo, con l’approccio registico. La giovane e talentuosa Aigul Akhmetshina domina con agio l’ampia tessitura del ruolo di Polina. Da segnalare anche le eccellenti prestazioni di Evgeny Akimov (Čekalinskij), Anatoli Sivko (Surin) e del Coro Filarmonico Slovacco.
Paolo di Felice
Foto: Monika Rittershaus