Conferme e sorprese ai Pomeriggi Musicali

SARYAN Garni ALTUNYAN Berd dance PADRE KOMITAS Vagharshapati Par MENDELSSOHN Concerto per violino e orchestra in mi minore SIBELIUS Pelléas et Mélisande suite op. 46 violino Francesca Dego Orchestra I Pomeriggi Musicali, direttore Karen Durgaryan

Milano, Teatro dal Verme, 22 marzo 2018

 

Quando in un concerto ci si aspetta molto da qualcuno, e le attese sono confermate, è una gioia; se non si ha alcuna aspettativa su un artista perché non lo si conosce, e se ne trae una splendida impressione, è una gioia ancora maggiore; e se le due cose si uniscono, ecco che si esce da un concerto con la migliore sensazione possibile. Questo è esattamente quanto successo ieri sera per il tradizionale concerto del giovedì della stagione sinfonica dei Pomeriggi Musicali: le attese, naturalmente, erano per l’enfant du pays, Francesca Dego, la cui maturità tecnica e interpretativa è stata già messa in mostra da una serie di splendidi CD per Deutsche Grammophon, e che nell’iconico Concerto di Mendelssohn — forse “la” pietra di paragone più rischiosa per un violinista — ha fatto prova di quelli che sono i suoi atouts. Anzitutto un’intonazione impeccabile, un controllo delle dinamiche assoluto ad ogni altezza, la capacità di portare il suono al pianissimo più impercettibile, riducendo se è il caso il vibrato, con un dominio totale dell’archetto; ma poi, cosa ancora più importante, ogni “gesto” è il frutto di un’idea, di un pensiero, di una visione che iscrive la partitura mendelssohniana in quella winckelmanniana “nobile semplicità e quieta grandezza”, lontana da esagerazioni romantiche. A volte, persino troppo: e qui interveniva la sorpresa della serata, il direttore armeno (a me completamente ignoto prima di ieri sera) Karen Durgaryan, che — senza podio — mostrava un dominio della partitura fin nei minimi dettagli, un’attenzione continua alla solista, che sapeva sostenere e spronare, ispirare e aiutare: ossia, l’ideale per un direttore di un concerto solistico.

La sottolineatura dei dettagli strumentali non era mai fine a se stessa, ma serviva semmai a increspare quel marmo classico che la Dego scolpiva sovranamente: e il modo in cui il direttore ne ha ripreso l’idea, frastagliata e insieme controllata, all’uscita dalla cadenza è qualcosa di veramente sublime. E il terzo movimento trovava, grazie alla violinista lecchese e al direttore, un carattere aereo, luminoso, giocoso, con un’ammirevole precisione di tutta l’orchestra (cosa non così comune ai Pomeriggi: e questo prova che, come diceva Furtwängler, non esistono buone o cattive orchestre ma buoni o cattivi direttori). Grandissimo successo, ovviamente, coronato da ben due bis della Dego: il suo Mendelssohn era stato anticipato da tre brevi brani armeni per soli archi (piacevoli ma non indimenticabili) e seguito dalla Suite che Jean Sibelius trasse dalle proprie musiche di scena per il Pelléas et Mélisande di Maeterlinck. Come in molte pagine dell’autore finlandese, ma forse ancora di più — non sempre memorabile essendo il livello di queste brevi composizioni — al direttore spetta il difficile compito di far respirare al suo interno la scrittura per blocchi accordali, timbricamente omogenea e pericolosamente monotona: e anche qui Durgaryan ha fatto lievitare il fraseggio dell’orchestra, con una flessibilità agogica che era il risultato di continue microvariazioni interne alle frasi, con bellissimi effetti timbrici (i corni bouché, gli archi al ponticello) e un senso efficacissimo di direzionalità conferito ai nove pannelli della suite, con ovvio culmine nell’ultimo, una “Morte di Mélisande” austera e nobile, mai enfatica o grigiastra. Chi può, non si perda la replica di sabato 24.

Nicola Cattò

(Foto: Mario Mainino. www.concertodautunno.it)

Data di pubblicazione: 23 Marzo 2018

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