BERG Wozzeck C. Gerhaher, G.B. Barkmin, B. Jovanovich, M. Peter, W. Ablinger-Sperrhacke, L. Woldt, P. Daniluk, C. Davidson, M. Zysset, I. Friedli, N. Dührkoop, T.J. Park; Chor der Oper Zürich, Kinderchor der Oper Zürich, Statistenverein am Opernhaus Zürich, Philarmonia Zürich, direttore Fabio Luisi regia Andreas Homoki scene e costumi Michael Levine luci Franck Evin.
Zurigo, Opernhaus, 16 settembre 2015
“Siamo marionette, tirate per il filo da potenze sconosciute; noi stessi non siamo nulla. Spade con cui si combattono gli spettri”. Il concetto racchiuso in questa citazione, tratta dalla Morte di Danton di Georg Büchner, è la fonte di ispirazione principale di questa nuova produzione di Wozzeck, firmata, per quanto riguarda la regia, da Andreas Homoki, sovrintendente dell’Opera di Zurigo. L’idea che l’uomo non sia libero e che il suo agire subisca, impotente, la coercizione di forze oscure, suggerisce a Homoki di rappresentare i personaggi come grotteschi burattini, caratterizzati da costumi caricaturali e iperbolici, trucco marcato, movenze disarticolate. A tal proposito, soccorre un’ulteriore frammento del “Büchner-pensiero”, contenuto in una lettera alla fidanzata: “Io vedo nella natura umana una spaventosa uniformità, nelle condizioni umane una forza ineluttabile, concessa a tutti e a nessuno. L’individuo non è che schiuma sull’onda. La grandezza è un puro caso. La potenza del genio, un semplice gioco marionettistico, lotta ridicola contro la ferrea legge. Riconoscere tale legge, è la cosa più alta. Dominarla non è possibile”. I personaggi si muovono nello spazio di un’enorme cornice gialla, che si moltiplica progressivamente in più cornici concentriche, unici elementi di un dispositivo scenico ostentatamente astratto e simbolico, nell’ambito del quale trovano anche spazio una serie di flash onirici. Per chi ha sempre letto il capolavoro di Berg in un’ottica puramente realistica, mettendo in luce il contesto sociale tetro e desolato nel quale si sviluppa la follia omicida e autodistruttiva di Wozzeck, o l’ha esaminato con le lenti della psicologia, concentrandosi sul graduale disgregarsi della mente del protagonista, la lettura di Homoki si rivela sorprendentemente plausibile e stimolante.
La direzione di Fabio Luisi rifugge dalle temperature incandescenti e dai contrasti dinamici esasperati e immerge la partitura in una dimensione che potremmo definire cameristica, dalla quale emerge con eccezionale nitore la straordinaria ricchezza timbrica dell’orchestra. In linea con la concezione registica, Luisi propone un Wozzeck sferzante e beffardo senza essere aggressivo, impreziosito da pennellate di ironia; di quella tragica ironia che caratterizza le vicende umane più tristi e incomprensibili. Le assidue frequentazioni liederistiche di Christian Gerhaher sono evidenti nella cura e nella varietà del fraseggio; ne deriva un Wozzeck strepitoso, cesellato in ogni sillaba e recitato splendidamente. La rabbia, la rassegnazione e il senso di colpa di Marie trovano in Gun-Brit Barkmin un’incarnazione intensa. Di eccellente livello il resto della distribuzione, con una menzione per il Capitano dalla voce tagliente e dalla recitazione nevrotica di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke.
Paolo di Felice