CHOPIN Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 op. 11 GUASTELLA Zaira tra le misure del suo spazio SCHUMANN Sinfonia n. 4 op. 120 (rev. Mahler) pianoforte Pietro De Maria Orchestra I Pomeriggi Musicali, direttore Aldo Ceccato
Milano, Teatro Dal Verme, 22 ottobre 2015
Un’inaugurazione di stagione in una sala — pur ampia come è quella del Dal Verme — vuota per metà non è affatto un buon segno, tanto più che il programma presentato era di quelli che, sulla carta, avrebbero dovuto suscitare l’interesse del pubblico: ma, forse, è più un problema di identità, quello dei Pomeriggi, stretti a Milano fra la Scala, le proposte spesso di grande livello e interesse della Verdi, e le tante istituzioni di ospitalità (dalla Società dei Concerti al Quartetto). Né poteva aiutare, almeno in questo frangente, la presenza del glorioso Aldo Ceccato, che è spesso stato, nella sua lunga carriera, musicista dalle idee singolari ma direttore non sempre in grado di realizzarle compiutamente: penso al suo libro in cui propone “correttivi” per le sinfonie di Beethoven, che secondo lui sono limitate nell’espressione dai problemi tecnici che gli strumenti avevano al tempo del compositore… La stessa idea, evidentemente, ha guidato il direttore milanese anche nella scelta della revisione di Mahler per la Quarta di Schumann: una versione che è tesa a chiarire le linee strumentali, a evitare inutili e inefficaci (almeno per Mahler…) raddoppi e, in genere, a liberare l’idea musicale dalla presunta incompetenza dello Schumann orchestratore. Va da sé che la presunta inefficacia della scrittura orchestrale di Schumann è un’idea ormai superata dalla musicologia odierna, che la interpreta giustamente come essenziale, anche nei suoi presunti errori, all’effetto espressivo immaginato: ed è qui che si vede il grande direttore, capace di evitare in sede esecutiva spiacevoli ridondanze o passaggi non chiari. La versione di Mahler, insomma, mi pare molto più invecchiata dell’originale: tagliare la ripetizione dell’esposizione del primo movimento è insensato, così come — per far un esempio solo — la preminenza data ai fiati nel Trio dello Scherzo cambia completamente l’identità del brano. Ma se dev’essere Mahler, che Mahler sia: e Ceccato ci ha creduto fino in fondo, schiarendo continuamente il tessuto orchestrale, esaltando gli equilibri sonori e formali, in una lettura civile e sensata, quasi del tutto priva di Sehnsucht romantica anche in quella transizione fra III e IV movimento che si voleva solenne ma che è risultata invece piuttosto slentata. La sinfonia schumanniana aveva fornito il materiale tematico per un breve, forse troppo breve, brano della giovane Virginia Guastella, ispirato ad un brano de Le città invisibili di Calvino, mentre la prima parte della serata è stata dedicata al Primo di Chopin, solista un Pietro De Maria come al solito encomiabile, per la sua digitalità impeccabile, il controllo delle sonorità sempre millimetrico e un dominio della scrittura pressoché totale. Purtroppo Ceccato non aiutava: l’introduzione orchestrale era davvero slavata, né i pur brevi apporti delle prime parti riuscivano a stabilire un dialogo con il pianista (ma perché, a questo, punto, non proporre l’orchestrazione di Balakirev? Avrebbe forse stimolato maggiormente il direttore…). Ne risultava quindi uno Chopin più Biedermeier che romantico, in cui De Maria si rifugiava in un’eleganza impeccabile e un tantino fredda, non avendo forse altra scelta: ma che le sue possibilità espressive sarebbero ben altre lo ha palesato nel primo bis (il secondo è stato una frizzante Sonata scarlattiana), ossia il Valzer op. 64 n. 2, affascinante per l’equilibrio fra libertà agogica e sobrietà espressiva, dalla cantabilità intensa eppure pudica.
Nicola Cattò