MOZART Così fan tutte V. Santoni, S. Hankey, X. Zhang, M. Peter, V. Farcas, E. Crossley-Mercer; Philarmonia Zürich, Chor der Oper Zürich, Statistenverein am Opernhaus Zürich, direttore Riccardo Minasi regia, scene e costumi Kirill Serebrennikov luci Franck Evin
Zurigo, Opernahus, 7 febbraio 2024
In occasione della sua creazione a Zurigo nel 2018, questo allestimento di Così fan tutte ha avuto una notevole risonanza, anche sulla stampa non specializzata, in quanto il regista Kirill Serebrennikov è stato costretto a dirigerlo da remoto. Nel 2017, infatti, Serebrennikov — esponente di spicco dell’intellighenzia liberale russa — era stato accusato dalla magistratura di Mosca, insieme ad alcuni presunti complici, di aver fraudolentemente distratto denaro pubblico destinato ad un progetto teatrale; conseguentemente, nel 2018 era detenuto agli arresti domiciliari, in attesa di giudizio. Malgrado questo impedimento, il sovrintendente dell’Opera di Zurigo Andreas Homoki aveva deciso di proseguire nel progetto, consentendo a Serebrennikov di realizzare questa produzione, che è stata successivamente ripresa nel 2019 e poi anche a Berlino (Komische Oper, gennaio 2024) e ora di nuovo a Zurigo. Alla stragrande maggioranza dei media europei e americani le accuse all’indirizzo di Serebrennikov sono parse fabbricate ad arte e strumentali ad ostacolare l’attività di un regista inviso all’élite conservatrice russa. Prova ne sia il fatto che, a dispetto della richiesta della pubblica accusa di sei anni di reclusione, alla fine a Serebrennikov è stata inflitta una condanna ben più mite, accompagnata dalla sospensione condizionale, che è sfociata nel rilascio su cauzione nell’aprile 2019, dopo un anno e mezzo di detenzione domiciliare.
Come ha potuto Serebrennikov dirigere il capolavoro di Mozart in siffatte condizioni? Principalmente grazie all’infaticabile supporto del suo assistente e amico Evgeny Kulagin, che ha fatto la spola tra Zurigo e Mosca trasportando appunti e chiavette USB con le video clips delle prove e recapitandole al regista, il quale formulava poi i suoi commenti e le sue richieste di modifica, che Kulagin si incaricava di comunicare agli artisti una volta tornato in teatro; il tutto, ovviamente, tramite un avvocato, unico contatto concesso a Serebrennikov con il mondo esterno.
Considerate le suddette circostanze, la riuscita di questa produzione è stupefacente. All’ingresso in teatro il sipario è già alzato e ci viene mostrata una scena divisa su due livelli. Al piano inferiore, gli uomini si allenano con gli attrezzi in palestra; in quello superiore, le donne si occupano anch’esse di fitness, ma non disdegnano di immortalarsi con dei selfie. Fatta eccezione per la scena finale, tutto lo spettacolo si svolge in questo contesto scenico, con frequenti cambiamenti e adattamenti ingegnosi, eseguiti da un drappello di servi di scena — all’occorrenza anche figuranti — con movimenti fluidi e silenziosi.
L’allestimento è caratterizzato da una direzione degli attori curatissima ed è prodigo di idee e di trovate, alcune decisamente “vistose”, altre più di dettaglio ma che non passano comunque inosservate. Tra le prime ne vanno citate due, che orientano il Konzept della produzione. In occasione della partenza per il fronte di Ferrando e Guglielmo, viene inscenato un vero e proprio funerale, con tanto di corteo, corone di fiori, immagini in bianco e nero dei due giovani sventurati, urne per contenerne le ceneri (che spesso le due fidanzate si scambieranno — quello dello scambio è un elemento ricorrente durante tutto lo spettacolo). Ancora più forte e marcante è la scelta di non travestire i due protagonisti, ma di ingaggiare due attori (incarnati da Francesco Guglielmino e dallo stesso Kulagin — bravissimi), mentre Ferrando e Guglielmo restano ai margini della scena o al piano di sopra; il loro canto appare dunque come un commento, ora soddisfatto, ora preoccupato, a quanto sta accadendo tra le due donne e i loro ignoti spasimanti. Questi ultimi sono dipinti come esseri zotici e sgraziati, tutti muscoli e tatuaggi, per nulla inclini al romanticismo: appena arrivati, si stravaccano davanti alla TV per guardare una partita di calcio, previa consegna alle due belle — in maniera totalmente indifferente — di un omaggio floreale a forma di cuore alquanto pacchiano; per fingere il suicidio, ingeriscono con ingordigia detersivi per piatti; appena rinvenuti dopo le “cure” di Despina travestita da medico-ciarlatano, mangiano a sazietà e con nessuna creanza. La regia li vuole così rozzi e primitivi non solo e non tanto per suscitare l’ilarità degli spettatori, quanto piuttosto per evidenziare il lato oscuro ed eminentemente sessuale che spinge progressivamente Fiordiligi e Dorabella ad assecondare il crescente tumulto dei propri istinti. D’altronde la lavagna dell’analista ricorda alle due donne che “definire animale un uomo è una lusinga; egli è una macchina, un dildo ambulante”. L’analista altri non è che Despina, che spinge con insistenza le due afflitte vedove verso l’infedeltà (che qui assume anche la connotazione di infedeltà alla memoria). Quanto a Don Alfonso, è appena più anziano di Ferrando e Guglielmo ed il suo cinismo è il frutto di una relazione con una donna finita male (i messaggi WhatsApp proiettati sulla parete di fondo del palcoscenico ci fanno chiaramente capire che è stato “mollato”) e del conseguente desiderio di rivalsa verso il genere femminile.
Tuttavia, a dispetto delle apparenze, non è la volubilità femminile ad essere al centro dell’allestimento: Serebrennikov mette in evidenza come, in definitiva, il mondo sia dominato dai maschi: sono loro che dettano le regole del gioco; nel caso di specie sia letteralmente che metaforicamente. Tant’è che, quando Alfonso scrive sulla parete di fondo “così fan tutte”, cancella con un tratto la “e” finale sostituendola con una “i”, vale a dire: “così fan tutti”… il messaggio non potrebbe essere più chiaro. Al termine, quando, i due soldati tornano inaspettatamente dall’oltretomba, li scorta una citazione dal Don Giovanni: la loro inattesa riapparizione è segnata infatti dalla musica del Commendatore. A consuntivo, spettacolo di grande impatto e ricchissimo di spunti, che realizza un mirabile equilibrio tra la componente comica e quella più “seria”, che esplora, non senza un pizzico di crudeltà e di umor nero, le incertezze, le difficoltà e i dilemmi delle relazioni di genere.
Riccardo Minasi dirige con notevole slancio e intensità: i tempi tendenzialmente rapidi e le sonorità ruvide lasciano poco spazio alle pause di riflessione che, per contrasto, sono distillate con estrema attenzione al fraseggio: suggestivo, a quest’ultimo riguardo, il Per pietà di Fiordiligi, ad onta delle sbavature dei corni e di un’esecuzione vocale nulla più che discreta. I componenti del cast — completamente rinnovato rispetto alle rappresentazioni del 2018 e 2019 — hanno il merito di aderire al progetto registico senza risparmiarsi e recitano tutti magnificamente. Qualche riserva va però sollevata sul piano del canto e della dizione, spesso confusa; il che, in una produzione così attenta al valore del testo, è un vero peccato. A Vannina Santoni il ruolo di Fiordiligi va largo: la voce è alquanto vuota in basso e non particolarmente fluida negli ardui scarti di registro. Samantha Hankey, al contrario, dispone di uno strumento fin troppo corposo e tende sistematicamente (e inutilmente) a forzare: pur apprezzando la foga di Smanie implacabili, sarebbe stato desiderabile un fraseggio più variato nel resto della recita. Mauro Peter è un Ferrando tecnicamente modesto; coretto ma nulla più il Guglielmo di Xiaomeng Zhang. Il Don Alfonso morbido ma un po’ piatto di Edwin Crossley-Mercer e la Despina acidula di Valentina Farcas completano la distribuzione.
Paolo di Felice
Foto: Monika Rittershaus