MOZART Concerto per fortepiano e orchestra n. 24 in do minore K 491; Requiem in re minore K 626 MusicAeterna fortepiano Olga Pashchenko soprano Elizaveta Sveshnikova controtenore Andrey Nemzer tenore Egor Semenkov basso Alexey Tikhomirov MusicAeterna, direttore Teodor Currentzis
Torino, Auditorium del Lingotto, 16 marzo 2024
L’attesa è stata tanta per il concerto che ha visto sul podio del Lingotto di Torino il chiacchierato e talvolta osteggiato direttore d’orchestra greco Teodor Currentzis. Appena un momento prima dell’avvio di serata lo speaker annuncia che a precedere il Requiem in re minore sarà la Musica funebre massonica in do minore, seguita da un canto gregoriano, ciò che è evidentemente funzionale a preparare il clima per l’estremo capolavoro mozartiano. Tutto questo attiene, tuttavia, alla seconda parte della serata, giacché l’appuntamento iniziava infatti con il Concerto in do minore K 491, protagonista il fortepiano (nello specifico si tratta di una copia di uno strumento risalente all’epoca dello stesso Mozart) posizionato frontalmente rispetto alla platea e non di lato, come dai tempi di Dussek il pubblico è uso vedere e apprezzare. In sella allo strumento sale Olga Pashchenko, musicista russa classe 1986, docente ad Amsterdam e Gand, specialista affermata nell’ambito delle tastiere storiche con qualche incursione nel repertorio contemporaneo. Nonostante qualche problema di bilanciamento dinamico tra solista e orchestra, complice certo la tenuità del fortepiano in una sala tanto ampia, la Pashchenko, che ho occasione di ascoltare per la prima volta, non tarda a mettere in mostra le proprie doti sia tecnico-meccaniche che musicali, ciò che si apprezza, in generale, nell’adesione a una filologia non dogmatica, votata all’efficacia e al cantabile. Ed è artista dalla prorompente forza scenica: la Pashchenko non ha alcuna intenzione di recitare un ruolo di comprimaria, nonostante debba dividere il palco con l’istrionico Currentzis, figura troneggiante e carismatica, musicista peraltro scrupoloso e attento a compattare un’orchestra davvero di buona fattura, formata da musicisti provenienti da svariati paesi (tra cui la violoncellista mantovana Miriam Prandi, unica italiana di MusicAeterna) e che ha peraltro raggiunto il traguardo di vent’anni di attività. La conduzione di Currentzis mi pare riesca a comunicare efficacemente la propria visione al pubblico, oltre agli orchestrali, valorizzando al meglio la molteplicità di situazioni che animano questa pagina risalente al 1786, anno de Le Nozze di Figaro.
Terminato il Concerto in do minore, una buona fetta di pubblico sembra ormai proteso verso l’intervallo, ma mentre i più impazienti si affrettano a raggiungere il foyer, ecco la Pashchenko microfono in mano e in buon italiano annunciare che avrebbe eseguito il primo e unico movimento del Concerto per clavicembalo e archi in re maggiore di Dmitrij Bortnjanskij (1751-1825), compositore russo di formazione italiana, di cinque anni più anziano di Mozart. Un brano dal carattere brillante in cui si è potuta apprezzare la versatilità digitale della Pashchenko, la quale oltre a sgranare bene scale e arpeggi ha sfoggiato una sempre più apprezzabile musicalità radicata in un eccellente ricorso alle dinamiche, riuscendo a ridare smalto a uno strumento a mio avviso non valorizzato al meglio nel brano di apertura. La Pashchenko concede anche un secondo bis, il popolare Rondo a capriccio op. 129 di Beethoven, brano di cui l’artista russa sembra volersi servire per mostrare al pubblico tutte le possibilità dello strumento che ha sotto le dita, ciò che, devo dire, le è riuscito alla perfezione.
Dopo l’intervallo sale finalmente in cattedra il coro, protagonista di una straordinaria seconda parte di serata. Si riparte quindi non dal Requiem ma dalla Musica funebre massonica in do minore (K 477/K479a), terminata la quale il pubblico assiste a un qualcosa di cui credo serberà memoria a lungo: all’improvviso, nell’auditorium calano le luci. E insieme alle luci cala anche il silenzio più totale, che per un momento (ma solo per un momento) sembra inibire persino i tradizionali, inarrestabili colpi di tosse. Il pubblico vive questo momento con fiato sospeso, tra eccitazione e persino lieve sbigottimento, quando improvvisamente una candela accende i volti delle voci maschili, le quali iniziano a intonare un canto gregoriano (Requiem aeternam). L’effetto ha qualcosa di monumentale, ma di una ampiezza sobria, calma. Sembra di assistere a un rito in qualche misura ambivalente, un rito che rivive la eco massonica e che condurrà all’estremo ultimo, al Requiem. A questo punto il capolavoro di commiato del maestro di Salisburgo prende avvio senza interruzioni, al suono degli inconfondibili corni di bassetto. Tutto ciò avviene mentre la sala è ancora buia (il lettore provi a raffigurarsi la situazione), con le luci che ritornano a poco a poco a riempire i volti dei coristi e poi degli orchestrali. Una maniera davvero efficace nel tentativo (riuscitissimo) di forgiare un clima, di creare un immaginario e un’atmosfera adatta a una situazione di questa natura, vero colpo di teatro in un contesto musicale felicissimo, anche su un piano tecnico, coro compreso: penso ad esempio alla perizia tecnica sfoggiata nella fuga del Kyrie, o in quella, ben più breve, dell’Osanna: più in generale il coro di MusicAeterna esprime, attraverso tutte le sezioni, una limpida chiarezza nell’articolazione del fraseggio, nella ricostruzione del contrappunto, nella valorizzazione del testo liturgico. Naturalmente in tutto ciò il merito spetta anche a Currentzis e al suo interessante trattamento delle dinamiche proprio in rapporto al testo: al netto di una dizione latina non sempre impeccabile da parte del coro e dei solisti, ho apprezzato molto, ad esempio, il tentativo di valorizzare la parola Requiem sin dall’Introitus (primo episodio della messa), dove è stata opportunamente enfatizzata la sillaba centrale in modo da evitare che la forza della parola si perdesse in un diminuendo fisiologico e incontrollato, ciò che effettivamente avviene spesso quando si esegue questo passaggio. Qualche dubbio per quanto riguarda i solisti. Mentre ad esempio il controtenore Andrey Nemzer ha offerto una buona prova, il soprano Elizaveta Sveshnikova non sempre è stata impeccabile per quanto concerne l’intonazione, specialmente nelle tessiture più acute, con l’aggravante di un’emissione vocale che in certi momenti sembrava a fatica raggiungere la platea. Più sicura la voce del tenore Egor Semenkov e, almeno una volta superata qualche incertezza iniziale, del basso Alexey Tikhomirov. Tanto altro si potrebbe aggiungere; concludo con una considerazione generale che, ritengo, connoti il Requiem di Currentzis più di ogni altra cosa: il direttore greco mi pare abbia il merito di aver riportato il requiem mozartiano alle suggestioni di una preghiera, in parte alleggerendolo da una sedimentata tradizione interpretativa tipica della messa da concerto. Una preghiera ricondotta a una dimensione di semplice, purissima gioia e speranza: il requiem, affermava giustamente lo stesso Currentzis, non è un lamento per la morte, ma una supplica per la vita eterna.
Marco Testa
foto © Mattia Gaido – Courtesy of Lingotto Musica