Se vale il principio dell’excusatio non petita, accusatio manifesta, è parsa quanto meno sospetta l’insistenza di Chailly e Pereira su Yusif Eyvazov, il tenore azero che sarà Andrea Chénier nell’omonima opera di Giordano il prossimo 7 dicembre, con la moglie Anna Netrebko che debutta come Maddalena: entrambi, infatti, hanno sottolineato come il lavoro fra Eyvazov e Chailly sia cominciato già da tempo, e che stia dando ottimi frutti. Evidente — inutile far finta di niente — che tutti pensino che il cantante, finora non certo protagonista di prove indimenticabili, sia stato scritturato in quanto marito di, e come giornalista ho il dovere di riportare dei rumors che vorrebbero l’arrivo per un paio di recite, fra cui Sant’Ambrogio, del divo Jonas Kaufmann. Si vedrà.
Per il resto, la stagione presentata oggi a Milano non è affatto priva di motivi di interesse: la prima volta assoluta (pare assurdo, ma è così) del Pipistrello di Strauss, affidato a Zubin Mehta, che negli stessi giorni (gennaio 2018) dirigerà anche un concerto tutto straussiano, nonché della versione francese dell’Orphée et Eurydice gluckiano (diretto da Mariotti e con Flórez nel temibile ruolo da haute-contre) e del Fierrabras di Schubert, con la regia di Stein e la bacchetta di Daniel Harding. E poi grandi ritorni: la sublime Francesca da Rimini di Zandonai (che manca dal ’59), una vera sfida per Fabio Luisi e Maria José Siri, il Don Pasquale (l’altra opera che vedrà Chailly sul podio; protagonista Ambrogio Maestri) ed Ernani, nell’autunno 2018, con il duo Meli-Perez. Una grande sfida è, certamente, la proposta del Pirata di Bellini, epitome del belcanto romantico, affidata alla bacchetta di Riccardo Frizza e alle voci di Sonya Yoncheva e Piero Pretti (non certo indimenticabile, poco tempo fa, come Percy della Bolena).
Pereira ha poi sottolineato la vocazione della Scala a creare un gruppo di cantanti che, specie nel repertorio mozartiano, tornino spesso: e le voci che in questi giorni sono impegnate nel Don Giovanni torneranno, quindi, in gran parte a Milano per la Finta giardiniera, nuova tappa del progetto con strumenti storici che Diego Fasolis sta portando avanti. Con le riprese di Aida, Simone, Fidelio ed Elektra (regia di Chéreau), l’Ali Babà di Cherubini affidato ai ragazzi dell’Accademia, la stagione 17/18 si chiuderà con l’attesissima Fin de partie di Kurtág: il compositore — sostiene Pereira — ha finito la scrittura e da un anno i cantanti stanno già studiando le rispettive, difficili parti. Ai 15 titoli operistici e 9 di balletto si somma una stagione concertistica che ha le proprie vette nella proposta di 4 sinfonie di Mahler (Gatti, Chailly, Welser-Möst, Blomstedt) e, soprattutto, della Messa per Rossini, in prima esecuzione italiana: si tratta del progetto, capeggiato da Verdi (che scrisse il Libera me finale, poi confluito con cambiamenti nel Requiem) di una messa a… 26 mani (13 compositori) in onore del grande Pesarese. Chailly la dirigerà a novembre di quest’anno.
Fra le indiscrezioni (da me sollecitate al Sovrintendente), possiamo aggiungere che la favolosa Leggenda della città invisibile di Kitezh e della vergine Fevronija di Rimski (miracoloso spettacolo di Tcherniakov che la Scala ha coprodotto con Amsterdam e Barcellona) arriverà “fra poco”, e che il 7 dicembre 2018 sarà nel segno dei verdiani Les vêpres siciliennes (“en français”, ha sibilato Pereira a mezza bocca…).
Con le orchestre ospiti (Wiener, Staatskapelle di Dresda e Rotterdam Philharmonic Orchestra), i Concerti di Canto e i Concerti Straordinari, una stagione ricca e di indubbio interesse, che segna, tra l’altro, i 40 anni dal debutto scaligero di Riccardo Chailly, avvenuto nel gennaio 1978 con I Masnadieri. Per consultarla interamente, cliccate qui.