WILLIAMS Hook – Capitan Uncino (Volo a Neverland), Suite da Far and Away “Cuori ribelli”, Harry Potter (Hedwig’s Theme, Fawkes the Phoenix, Harry’s Wondrous World), Schindler’s List, E.T. L’extra-terrestre (Adventures on Earth), Superman (March, Love Theme), Indiana Jones (Scherzo for Motorcycle and Orchestra, Helena’s Theme, Raiders March), Star Wars (Princess Leia’s Theme, Throne Room & Finale), Filarmonica della Scala, direttore John Williams
Milano, Teatro alla Scala, 12 dicembre 2022
Dopo aver fatto la passerella con le più blasonate orchestre europee — Wiener Philharmoniker (2020) e Berliner Philharmoniker (2021) — John Williams è approdato il 12 dicembre nella città meneghina. Non c’è contenitore musicale che catalizzi così tanta attenzione come il “nostro” Teatro alla Scala, tempio dell’Opera, dell’italianità.
Le premesse sono state le prove debordanti dell’11 dicembre per gli under 30, e a memoria non ricordo così tanti giovani presenti che hanno esclamato: “è la mia prima volta alla Scala” ma anche un confortante “tornerò sicuramente ad ascoltare anche altro”.
Nella mia recensione pubblicata su MUSICA n. 320 (pag. 124, ottobre 2020), avevo immaginato il pensiero e la tensione dei professori d’orchestra dei Wiener davanti a Williams. Invece ora ho ascoltato dalle mie orecchie i commenti dei professori della Filarmonica milanese.
Il violinista Damiano Cottalasso: “Un concerto evento, come la notte degli Oscar. Quante volte abbiamo sentito: The Winner is… Qui ci sono due vincitori, una è la Filarmonica della Scala e l’altro è John Williams”.
Il primo corno Danilo Stagni: “Williams ha sempre saputo cogliere il lato più affascinante del corno. Schumann diceva che il corno è il cuore dell’orchestra e lo diceva proprio dal punto di vista emozionale. John Williams ha colto proprio questo, il suono del corno fa sempre da ponte tra gli archi e gli ottoni e non solo”.
Assistendo a questo concerto mi è sembrato di essere catapultato nella curva sud di uno stadio. Sembrava di essere presenti ad un Nabucco alla Scala del 1842, con un gran mormorio alla fine di ogni brano, applausi: ho contato tredici standing ovation. Verdi non è Williams, ma gli italiani sono gli stessi. Sì perché, ricordiamolo, il compositore di colonne sonore è considerato dai puristi un plagiario e, devo dire, che questo concerto è servito per togliere ancora un po’ di pregiudizi. È noto che molte cellule rielaborate derivino da Holst, Prokofiev, Shostakovich, Copland, Bruckner, Stravinsky, Korngold, Wagner, Mahler, R. Strauss, ecc., ma il suo suono è il risultato mnemonico di tutti i nomi soprariportati, ed è riconoscibilissima la struttura e l’armonia (il senso verticale della musica) di Williams.
In Italia il merito della diffusione delle esecuzioni orchestrali e pianistiche nelle sale da concerto va, fra gli altri, a Simone Pedroni nel doppio ruolo di pianista e direttore, e non sono da meno tutte le orchestre di fiati (chiamiamoli pure con il proprio nome, “bande”) dove è quasi sempre presente nei programmi il compositore statunitense.
Veniamo alla serata, partendo da Hook – Capitan Uncino (Volo a Neverland) e dalla Suite da Far and Away (Cuori ribelli) dove Williams sfrutta la delicatezza e la cantabilità del flauto nei momenti più puri, densi d’amore, ben interpretati dal primo flauto Andrea Manco.
Con i tre temi da Harry Potter (Hedwig’s Theme, Fawkes the Phoenix e Harry’s Wondrous World), si entra nel mondo magico del mago Harry, Hedwig è il suo gufo bianco e il tema traduce in musica la leggerezza del volo, rapidissime scale della celesta, degli archi e con inserimento dei legni, progressioni armoniche dal carattere misterioso della linea melodica. Appena Williams ha dato l’attacco alla Filarmonica, quasi per magia è scesa una falena dalla conchiglia in legno retrostante l’orchestra!
L’iconico tema di Schindler’s List è stato suonato dal violinista Francesco De Angelis con cavate profonde e un fraseggio quasi toccante, e molti occhi lucidi fra il pubblico (almeno vicino a me), e una Anne-Sophie Mutter attentissima tra il pubblico. Molto bene il dialogo con il corno inglese, Renato Duca.
E.T. L’extra-terrestre (Adventures on Earth) è una delle tante punte di diamante di Williams. In forma di poema sinfonico è basato sugli ultimi quindici minuti del film. Il regista Spielberg ha lasciato piena libertà a Williams nella registrazione, come se si trattasse di un brano da concerto, e ha poi rimontato il film seguendo la musica, possiamo dire un caso molto raro.
Massimo spazio agli ottoni — ma non è che nelle altre composizioni non fossero presenti… – da Superman a Indiana Jones (Scherzo for Motorcycle and Orchestra), forse uno dei brani più difficili tecnicamente, dove ha messo sotto torchio la Filarmonica, che ha mostrato alcune scollature tra violini, legni e ottoni e una Raiders March da un’interpretazione più “italiana” che “americana” o “anglofona”, con suono rotondo e cantabilità nella parte centrale, ma anche entrate non sempre pulite, a differenza dell’irruenza della London Symphony (l’orchestra che ha registrato la colonna sonora originale nel febbraio 1981). Mancava forse un po’ di spavalderia tra gli ottoni, il cui suono era sempre contenuto tra le fila.
Chiude il tutto Star Wars con il tema della Principessa Leyla, una delle pagine più sentimentali che Williams abbia scritto, con l’irruenza di Throne Room & Finale che arriva da Episodio IV di Star Wars (il primo film della saga in ordine di uscita e che va visto rigorosamente nella sequenza IV, V, VI, I, II e III: i successivi non li considero, non ora); la marcia trionfale è ispirata alle Pomp and Circumstance di Edward Elgar ma anche a Orb and Sceptre di William Walton. Una fanfara iniziale anticipa il tema della Forza, dove l’artiglieria qui si fa sentire in modo più presente (trombe, tromboni e tuba), ripreso poi dall’intera orchestra. Segue la musica dei titoli di coda dove si possono ascoltare il tema di Luke, il tema dei ribelli, il tema di Leia.
I due bis, Yoda’s Theme e Imperial March hanno chiuso un concerto esuberante.
Possiamo dire che oramai quasi tutte le generazioni sono passate da un film contenente una colonna sonora di John Williams, colui che ha permesso il ritorno della grande orchestra sinfonica ad accompagnare (o forse il contrario) il grande schermo. Non è musica da prendere sottogamba, da studiare in due prove, no. La scrittura di JW è complessa in orizzontale ma soprattutto in verticale.
Un encomio va alla sezione dei corni capitanata da Danilo Stagni: il suo solo nel Love Theme di Superman ha fatto volare tutti per il suo fraseggio, la centratura delle note, la qualità timbrica.
Ma vediamo i lati positivi di questa sera “storica”. Il teatro così “pieno” di entusiasmo non l’ho mai visto, a memoria. Potrà influenzare le scelte artistiche future nei teatri? I quattro ragazzi in quinta-sesta fila in piedi ad ogni fine movimento, che si alzano e gridano, seguiti da centinaia di persone in platea e sui palchi, faranno pensare su ciò che è avvenuto? Ma sarebbe stato uguale senza la presenza di John Williams? Ottimo il programma di sala, scritto dalla penna sapiente di Emilio Audissino.
Paolo Zecchini
Foto: ©Filarmonica della Scala | Andrea Veroni