Sulla bacheca Facebook di Marcello Parducci c’è scritto semplicemente pensionato. Ma quest’uomo, che ha dedicato l’intera sua vita alla musica, dovrebbe avere una via intitolata a lui nella cittadina di Massarosa che lui stesso ha pervicacemente innalzata al ruolo di capitale versiliese, se non toscana, se non italiana, della musica da camera.
Marcello è un signore dalla chioma folta e bianca, dai modi affabili e contenuti. E ai concerti della Pieve, si siede abitualmente di fianco o dietro ai musicisti, per lasciare posto al pubblico che, sempre in sovrannumero, invade la chiesa ancora consacrata, circondando l’altare dove si suona e ogni genere di posto dove sostare, in piedi o seduti.
Alla pieve romanica di San Pantaleone, nelle serate estive di musica che si svolgono ogni anno fin dal 1967, si conoscono un po’ tutti. E terminati i saluti incrociati che si susseguono ad ogni inizio, intervallo e fine concerto, si trova un posto dentro, preparandosi alla solita sudata proverbiale che il clima infuocato di fine luglio e per tutto agosto la Pieve ci riserva.
Qui, sull’altare, si succedono di volta in volta i migliori solisti e le migliori formazioni che il panorama internazionale della musica da camera propone.
Ci sono sì, gli ospiti fissi, quelli che all’invito di Parducci non devono nemmeno contrattare, e sono quanto di meglio un Festival possa reperire nel continente: Campanella, Canino, Gulli, Accardo, Brunello, Krylov, Sokolov, Lucchesini, Benda, e ci sono ogni anno nuovi talenti, promesse quasi sempre presto confermate, e ci sono programmi che vengono qui presentati per poi trovarsi il posto nei più prestigiosi cartelloni delle stagioni concertistiche internazionali.
Nessuna meraviglia quindi quando lunedì 30 luglio scorso, sull’altare della Pieve si son presentati due tipi, uno smilzo e l’altro pingue. Uno perfettamente pettinato e in panni freschi di stiratura, il secondo leggermente calvo e con camicia elegantissima e formale, quanto ampia e comoda. L’uno si siede dopo aver regolato il palchetto e controllato i bloccaruote, l’altro si siede imbracciando contemporaneamente l’archetto e sistemando il puntale per attaccare fulmineamente la prima delle Dodici variazioni in sol maggiore WoO 45 di Ludwig van Beethoven per violoncello e pianoforte, da Georg Friedrich Händel.
Enrico Dindo e Pietro De Maria, sono quanto di più differente e complementare si possa oggi trovare a definirsi duo. Sono due individui in cui il confronto è simultaneo, continuo e inevitabile. Il primo suona come se stesse restituendo una parte dell’anima grande che dimostra ad ogni espressione. Sì, musicale e sì fisica. L’altro è il compasso applicato al cerchio. Disegna senza mai muoversi dal centro stabilito e qualunque sia il suo immaginario sonoro lo restituisce senza una smorfia, uno sforzo, una goccia di sudore.
il gioco è quindi magico, reattivo, stimolante. Alla perfezione timbrica e ritmica del pianoforte di De Maria si affianca la cantabilità dello strumento preziosissimo che Dindo tiene in braccio e culla con tutta la sua partecipazione emotiva. I suoni del “romanticismo applicato” sviluppano i temi come tessuti morbidi e modellabili, le accelerazioni come moti spontanei, le pause come dediche connaturate all’essenza stessa del discorso musicale. Tutto si svolge nella più sbalorditiva naturalezza. Non vi è magistero tecnico da mostrare, non vi sono esacerbati mutamenti di prospettive da evidenziare. Gli stacchi di tempo e i passaggi da maggiore a minore della quarta e ottava variazione sono interpretati con la grazia e l’evasione intellettuale con cui Beethoven le concepì.
Senza soluzione di continuità, ma con un abbondante trapasso di fazzoletti e panni per occhiali, Dindo e De Maria sono passati ai Cinque pezzi in stile popolare, op. 102 di Robert Schumann con i quali hanno concluso la prima parte. L’opera, per quanto in testa riporti la citazione biblica «vanitas vanitatum» e per quanto sia sensibilmente squilibrata verso gli interventi dello strumento solista, è dotata di un equilibrio formale che dà al duo, infine, la compattezza di un’esecuzione che richiama la forma sonata. Vi sono, è vero, movimenti di carattere rustico come nelle danze del primo movimento (una polka?) e successivamente un ritmo da tarantella, ma il carattere principale è comunque appassionato e riporta allo spirito musicale del Phantasiestücke, con l’elemento lirico a emergere distintamente.
Definirlo brano interlocutorio è senza dubbio riduttivo, ma nell’economia di un programma che ha poi visto, dopo un necessario intervallo, l’approssimarsi della Sonata per violoncello e pianoforte in fa diesis minore op. 52 di Giuseppe Martucci, l’effetto ricevuto è sembrato questo.
In Martucci, i due interpreti si sono confrontati con uno dei brani che ha segnato la svolta dell’autore che dal 1878, appena ventiduenne, fa un passo indietro rispetto al suo fin lì proverbiale virtuosismo per aderire ai modelli concettualmente più impegnativi rappresentati al tempo da Schumann, Brahms, Wagner.
Cromatismi quindi e accordi alterati, armonie personali e forti contrasti e impasti timbrici ricercati. Dindo e De Maria restituiscono con nitore tutti gli elementi, sorreggendoli con una propulsione ritmica che non concede soste.
Nel brano è anche la dialettica fra gli strumenti a emergere e a rendere preziosa l’agitazione quasi frenetica che impolpa vari momenti della Sonata.
Al finale trascinante e d’effetto il pubblico scoppia in un vero e proprio frastuono d’ammirazione. L’intensità dell’esperienza appena trascorsa è sottolineata dal riso spontaneo e incontrollabile che è stampato sui visi accaldati.
Nei due bis, entrambi Novecenteschi, Il Cigno da Le Carnaval des Animaux di Camille Saint-Saëns e il terzo movimento dalla Sonata in re minore di Shostakovich, Enrico Dindo scioglie ogni riserva relativa al rapporto caldo/impegno fisico e dà tutto se stesso alla musica, tributando così al 51° Festival di musica da camera della Versilia il migliore dei contributi che ci si potesse aspettare da lui e da Pietro De Maria, complice perfetto.
La Stagione 2018 del Festival prosegue fino al 26 agosto e Pieve a Elici (LU) ospiterà ancora quattro straordinari concerti elencati al sito http://www.associazionemusicalelucchese.it/offerta-musicale/concerti-pieve-a-elici/.
Davide Toschi
Crediti: Associazione Musicale Lucchese