ROSSINI Il barbiere di Siviglia R. Barbera, M.F. Romano. C. Molinari, M. Werba, A. Esposito, D. Giangregorio, F. Benitez, L.P. Chiarot; Orchestra e coro del Teatro dell’Opera di Roma, direttore Stefano Montanari regia Lorenzo Mariani scene William Orlandi costumi Silvia Aymonino luci Linus Fellborn coreografia Luciano Cannito
Roma, Teatro delle Terme di Caracalla, 2 agosto 2022
Il barbiere di Siviglia è opera “romana”, in quanto ebbe la prima rappresentazione assoluta il 20 gennaio 1816 (quindi poco più duecento anni fa) al Teatro Argentina, dove a causa di un povero allestimento e di una claque anti-Rossini fu un fiasco clamoroso.
Ma il giovane autore sapeva di aver composto un capolavoro (che gli avrebbe fruttato pingui diritti d’autore per tutta la vita, anche nei decenni in cui il melodramma verdiano aveva spiazzato il repertorio rossiniano). Occorre fare presente che a Roma e dintorni non è in scena solo la produzione del Barbiere firmata dal Teatro dell’Opera ma anche altre, messe in scena in vari spazi da piccole compagnie per allietare le serate estive. E anche utile ricordare che, alcuni anni fa, il Teatro dell’Opera di Roma ha coprodotto con il Teatro Massimo di Palermo un progetto chiamato “opera camion” che ha portato Il barbiere nelle periferie. Non pochi di coloro che allora hanno gustato un Barbiere super economico hanno fatto la fila per ottenere posti a poco prezzo alle Terme di Caracalla.
L’allestimento alle Terme di Caracalla (una platea di 2.400 posti) fu concepito per l’estate 2014, quando venne presentato soltanto un paio di sere a ragione di tensioni sindacali e scioperi; il “passaparola” di coloro che lo hanno visto due anni orsono ha fatto sì che il 2 agosto (prima rappresentazione) la vasta platea fosse stracolma. E così pure la galleria (1.200 posti): sembra che pure le repliche (sino al 6 agosto) siano quasi esaurite.
Il Barbiere alle Terme di Caracalla è ambientato nella Hollywood degli anni Venti quanto si giravano kolossal storici, i film comici si basavano su gag e torte in faccia e si andava verso il parlato. In questo contesto, Almaviva è un ricco e potente produttore. È soprattutto (ma il programma di sala non lo dice) una caricatura di George M. Cohan, grande autore di commedie musicali tra il 1904 ed il 1942, quando morì cantando, ed è anche noto per una canzone patriottica (Over There) la più amata e la più cantata dalle truppe americane nella prima e seconda guerra mondiale e nella guerra di Corea. In questa edizione, Almaviva non è il consueto bel giovane gran seduttore; è senza dubbio attraente ma non per le physique. Piuttosto per il portafoglio, per i conti in banca e per essere in grado di finanziare kolossal come quello di cui si vede un ampio stralcio, mentre in buca Stefano Montanari dirige la notissima sinfonia.
La vicenda, perciò, è inserita in un contesto di ballerine, mimi e danzatori degli anni ruggenti. Funziona perfettamente, senza mutare una virgola al libretto o alle disposizioni sceniche di Sterbini (autore del testo) e Rossini. Dimostrazione della vitalità del Barbiere. Il regista è l’italo-americano Lorenzo Mariani (a lungo direttore artistico del Teatro Massimo di Palermo), le scene sono di William Orlandi; e gli splendidi costumi di Silvia Aymonino.
Brillante la parte musicale, nonostante all’aperto sia impossibile avere le sonorità che si hanno in un ambiente chiuso. Concerta con perizia (e ritmo) Stefano Montanari, ascoltato più volte in varie edizioni del Barbiere. In questa produzione, è essenziale che l’orchestra sia in sintonia con cantanti che devono essere non solo squisiti attori (come avviene quasi sempre in buone produzioni del Barbiere) ma anche provetti ballerini, compito non certo facile.
Due dei protagonisti (Markus Werba, Figaro, e Alex Esposito, Don Basilio) sono notissimi al pubblico romano; Werba è conosciuto pure come ballerino di classe per le sue interpretazioni de Die lustige Witwe (La vedova allegra) anche ma non solo a Roma. Marco Filippo Romano è un Bartolo reduce dai recenti successi alla Scala.
Almaviva è il tenore americano René Barbera, una star per i ruoli rossiniani e donizettiani oltreoceano. Lo si è visto ed ascoltato in Italia al Rossini Opera Festival. Ha il registro perfetto per il ruolo, uno squillo elegantissimo e recita con arguzia. Non ha cantato la difficile aria del finale secondo Cessa di più di resistere; credo sia una decisione della regia per non rendere troppo lungo il finale, non del cantante perfettamente in grado di rendere giustizia alle acrobazie vocali richieste dal brano.
Francesca Benitez è una deliziosa Berta nella sua “aria da sorbetto”, ma per me la vera scoperta della serata è la Rosina di Cecilia Molinari. Ha la vocalità rossiniana perfetta: un mezzosoprano brunito che può scendere al registro di contralto. L’ottimo fraseggio, la grande precisione nelle agilità e il notevole gusto musicale sono solo alcune delle caratteristiche che ne fanno una apprezzata e stimata interprete rossiniana di nuova generazione. Recita, e pure balla, molto bene.
Grande successo.
Giuseppe Pennisi
Foto: Fabrizio Sansoni / Opera di Roma