Dopo sei anni dall’ultima edizione, la Filharmonia Narodowa di Varsavia apre le porte alla diciottesima edizione del prestigioso concorso pianistico Fryderyk Chopin International Piano Competition, dedicato interamente al tanto amato compositore polacco. Nonostante la tradizionale cadenza quinquennale, lo scorso anno anche il Concorso si è dovuto adeguare alle restrizioni e alle misure cautelari che i vari governi hanno dovuto adottare per fronteggiare la grave emergenza sanitaria, venendo posticipato di un anno. Dopo un lungo periodo di incertezze, finalmente questa iniziativa riprende vita e dopo le principali tre prove della Competizione, 12 concorrenti su 87 ammessi alla prima prova sono arrivati alla tanto attesa finale. Tra di essi, due giovani italiani.
In sala si respira un grande entusiasmo e grande attesa per le finali, in cui i pianisti dovranno esibirsi suonando uno dei due Concerti per pianoforte e orchestra: op. 11 in Mi minore oppure op. 21 in Fa minore.
I dodici finalisti sono stati: Kamil Pacholec (Polonia), Hao Rao (Cina), Kyohei Sorita (Giappone), Leonora Armellini (Italia), J J Jun Li Bui (Canada), Alexander Gadjiev (Italia/Slovenia), Martin Garcia Garcia (Spagna), Eva Gevorgyan (Russia/Armenia), Aimi Kobayashi (Giappone), Jakub Kuszlik (Polonia), Hyuk Lee (Corea del Sud) e Bruce (Xiaoyu) Liu (Canada).
Come spesso succede, il Concerto per pianoforte e orchestra op. 11 in Mi minore è stato il più scelto. Infatti 9 concorrenti su 12 hanno optato per quest’ultimo, mentre Alexander Gadjiev, Martin Garcia Garcia e Hyuk Lee hanno preferito il secondo, op. 21 in Fa minore. La sala ha apprezzato maggiormente le interpretazioni di Kyohei Sorita, Bruce (Xiaoyu) Liu ma in particolare, l’esecuzione molto raffinata di Martin Garcia Garcia. I concorrenti sono stati accompagnati dalla Warsaw Philharmonic Orchestra, diretta da Andrzej Boreyko. Dopo la conclusione della prova dell’ultimo partecipante, la giuria, presieduta dalla Prof.ssa Katarzyna Popowa-Zydron, si è ritirata per discutere ed assegnare i premi.
Gli esiti del concorso sono stati annunciati alle 2 di notte. Nell’atrio della Filharmonia Narodowa, rimasto colmo di giornalisti e appassionati nonostante la lunga attesa, finalmente si ripresenta la giuria al completo accompagnata dai finalisti, dal direttore e organizzatore del concorso Dr. Artur Szklener e dal Dr. Aleksander Laskowski, portavoce del Fryderyk Chopin Institute e della diciottesima edizione del Concorso. Artur Szklener annuncia quindi le decisioni dei giudici e i Premi Speciali.
6° premio assegnato a J J Jun Li Bui, Canada; 5° premio assegnato a Leonora Armellini, Italia; 4° premio ex aequo assegnato a Jakub Kuszlik, Polonia; 4° premio ex aequo assegnato ad Aimi Kobayashi, Giappone; 3° premio assegnato a Martin Garcia Garcia, Spagna; 2° premio ex aequo assegnato a Kyohei Sorita e Alexander Gadjiev, Italia/Slovenia e infine il 1°premio è stato assegnato a Bruce (Xiaoyu) Liu, Canada.
I Premi Speciali sono stati: Premio della Polish Radio per la miglior esecuzione delle Mazurke, assegnato a Jakub Kuszlik, Polonia; Premio della Warsaw Philharmonic per la migliore esecuzione di un Concerto assegnato a Martin Garcia Garcia, Spagna; Premio di Krystian Zimerman per la migliore esecuzione di una Sonata, assegnato ad Alexander Gadjiev, Italia/Slovenia; il premio della Fryderyk Chopin Society per la migliore esecuzione di una Polonaise non è stato assegnato.
Nei tre giorni successivi si sono tenuti i concerti e le premiazioni ufficiali dei vincitori. Il primo concerto, suonato interamente sul pianoforte italiano Fazioli, si è tenuto al Teatro Nazionale Wielki, con un Concerto di gala a cui ha anche partecipato il presidente della Repubblica di Polonia, Andrzej Duda. I restanti due concerti sono stati eseguiti alla Filharmonia Narodowa.
Durante questa settimana ho potuto assistere alla conferenza su una collaborazione tra Google, The Fryderyk Chopin Institute e altri 12 partner, in cui è stata presentata una sezione interamente dedicata a Chopin all’interno dell’applicazione Arts and Culture.
Infatti, dal 20 ottobre 2021 la si può trovare con il nome di “Chopin Forever” ed esplora molteplici sfaccettature della vita di Chopin. Grazie alla collaborazione con la casa discografica Deutsche Grammophon è anche possibile ascoltare registrazioni storiche a partire dal 1905.
La maggior parte degli eventi è stata trasmessa ed è ancora visibile in altissima qualità sul Canale YouTube ufficiale Chopin Institute e sull’applicazione Chopin Competition 2020, dove sono ancora visibili.
Prima dell’inizio del concorso, durante la fiera Cremona Musica, la cui direzione artistica è affidata a Roberto Prosseda, alcuni partecipanti del concorso hanno tenuto dei concerti, tra cui Leonardo Pierdomenico, Aristo Sham ed Alexander Gadjiev.
Alexander Gadjiev e Leonora Armellini hanno sicuramente portato un forte messaggio legato alle loro personalità.
Ho avuto l’opportunità di conoscere Leonora dopo il concorso, ancora a Varsavia ed ho avuto anche il piacere di chiacchierare con lei a lungo durante una pausa pranzo. Ho trovato uno stretto legame tra la “persona” e la “pianista” e, conoscendola di persona, ho potuto capire ancora meglio il suo modo di suonare. È una ragazza molto solare, gioiosa, profonda e ha tanto da dire al mondo. Ho trovato questa attitudine anche nel suo “stile” pianistico. Leonora ha optato per il Concerto in mi minore op. 11, stesso pezzo che aveva messo in programma nel 2010, quando purtroppo si è dovuta fermare alla terza prova. È stata proprio questa la motivazione che l’ha spinta a scegliere di nuovo questo Concerto perché, come mi ha detto, ha voluto “chiudere il cerchio”. Trovo questo pensiero di grande valore, ed è uno degli aspetti che mi ha più impressionato di Leonora. Il suo Concerto è stato tutto molto particolare. L’ho trovato diverso dagli altri concorrenti, quasi come se quel momento e quel modo di suonare rappresentasse ed esprimesse proprio la sua essenza e la sua immensa gioia nel suonare e nell’essere lì in quel momento. Inizialmente avevo frainteso il suo modo di suonare, ma poi, ripensandoci bene, ho visto sotto tutt’altra luce la sua interpretazione ed ho trovato un messaggio molto profondo di riscatto e di attaccamento alla vita.
Intervista con Leonora Armellini
Qual è stato il tuo percorso di studi e come pensi ti abbia aiutato a diventare la pianista che sei oggi?
È un percorso di studi che dura da tutta la vita, e credo non finirà mai. Dal punto di vista pratico ho iniziato a suonare a 4 anni, essendo praticamente “nata nella musica”, perché come ho avuto modo di capire cosa c’era intorno a me, ho subito visto il pianoforte di casa e ho iniziato a suonarlo. I miei genitori sono entrambi musicisti, mia mamma è una pianista e mio papà è un fagottista. Mio fratello gemello è anche un bravissimo violoncellista. Inizialmente ho studiato a Verona con Laura Palmieri, una bravissima didatta per i bambini e per i ragazzini, molto severa e con principi molto forti, ed è stata anche allieva di Arturo Benedetti Michelangeli, quindi ho anche sentito parlare di lui fin da piccolissima. Dopodiché mi sono diplomata a 12 anni in conservatorio, ho fatto le cose un po’ in fretta, e successivamente ho studiato all’Accademia di Santa Cecilia con Sergio Perticaroli. Ho avuto anche varie esperienze all’estero, per esempio ad Amburgo, Lugano… e adesso da un po’ di anni sono con Boris Petrushansky, all’Accademia Pianistica di Imola, ed oltre che un maestro per me è stato un vero e proprio mentore, standomi molto vicino durante il concorso e mi ha dato anche tanta forza e tanto coraggio. Una cosa che vorrei ancora aggiungere al mio percorso è che negli ultimi anni ho lavorato molto sulla “confidence”, oltre che sul continuo miglioramento a livello musicale, e credo di aver capito che il discorso più importante è quello umano e personale.
Come ti sei preparata per il concorso e quanto tempo hai impiegato per essere pronta?
Io credo che “pronti” non lo si sia mai, però mi sono sentita pronta emotivamente. Il concorso è stato posticipato di un anno, e credo che quest’ultimo anno sia stato fondamentale per me per sentirmi pronta emotivamente, forse l’anno scorso non lo ero così al 100%… non so bene il perché. La preparazione musicale è stata anche molto intensa e particolare, perché ho avuto modo di suonare tanto e di ampliare i miei orizzonti viaggiando tanto e parlando con tante persone illuminanti. Credo che questa preparazione “sul campo” sia stata davvero formidabile, poiché oltre allo studio giornaliero ho potuto andare ancora oltre durante i concerti.
Quali sono state le emozioni più forti durante questo percorso?
Come prima cosa l’abbraccio della città verso chiunque partecipi a questo concorso. Uscire dall’hotel per andare alle varie prove del concorso, è stato ogni volta particolare. Mi spostavo sempre a piedi con uno zaino e un’altra cosa che segnava sempre ogni tragitto è stata chiedersi che cosa sarebbe successo da lì a poco. Mi sono posta varie domande e spesso mi trovavo ad incoraggiarmi da sola.
Com’è stato suonare su quel palco e con quel pubblico?
È un palco che mette a proprio agio. Ho avuto anche l’occasione di fare alcuni concerti lì, dopo il 2010, ed è un palco che ti fa sentire “abbracciato”. Il suono, nella sala, viaggia lungo, arriva diretto al pubblico e lo avvolge. Per quanto riguarda il pubblico, io credo che il calore del pubblico polacco non credo abbia eguali. Molto spesso, le persone, quando finisci di suonare, ti dicono “grazie”, non “complimenti”, ed è bellissimo. Io credo che l’applauso sia parte integrante della musica, per esempio durante i concerti in streaming, questa cosa è mancata molto.
Prima di iniziare ogni prova, a cosa pensavi e quali erano i tuoi stati d’animo?
Prima di suonare, si alternano tante emozioni diverse, per esempio scoraggiamento, motivazione… ci sono tante “personalità” che si scontrano tra loro, ma la cosa più bella prima di suonare, ed è una cosa che ho scoperto qua, e che mi hanno fatto notare… praticamente, prima che entrassi a fare la prima prova, appena ho sentito pronunciare il mio nome per salire sul palco, quello che era terrore è diventata gioia, grazie ad un sorriso che mi è spuntato spontaneo. Da quel momento è passata la paura, ed ho capito che questo era il mio modo per prepararmi a salire sul palco. La mia amica che mi ha fatto notare questa cosa, dopo mi ha scritto: “da quel sorriso in poi ci hai fatto sognare” ed è stata una cosa che mi ha davvero aperto gli occhi. Ho capito che dal momento in cui sorrido, sono pronta, e voglio dare al pubblico tutta me stessa.
Credi che questa esperienza ti abbia cambiato come pianista?
Moltissimo, come prima cosa, vincere la paura di un concorso del genere, ed è una sensazione strana, perché mi sento proprio diversa al pianoforte adesso… non un’altra persona, ma con un’attitudine diversa. Mi sento molto più sicura ed è una cosa bellissima, non ho paura. Credo che una cosa del genere non si impari in una situazione diversa da questa. È proprio una “palestra” in cui superare i propri limiti.
Qual è la prima cosa che farai appena tornata a casa e quali sono i tuoi progetti per il futuro?
La prima cosa che farò, tornata a casa, sarà andare a Firenze a suonare il Primo concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven. Nonostante debba ripartire subito, voglio prendermi un po’ di tempo per salutare la mia famiglia, il mio cane e le mie amiche e penso che la primissima cosa che farò a casa sarà buttarmi sul mio letto e avere di nuovo l’abbraccio della mia comfort zone. Per quanto riguarda il futuro, vorrei prima tornare a casa, per capire cosa accadrà della mia vita. Ovviamente, qui ho conosciuto molta gente e ho avuto molte proposte artistiche interessanti… vedremo cosa mi aspetta! Sicuramente mi piacerebbe approcciarmi a compositori e compositrici che non ho mai affrontato prima e mettere su qualche programma particolare e variegato.
Alexander Gadjiev, secondo me, è un pianista formidabile. Ho avuto modo di conoscerlo a Cremona Musica, al suo concerto tenutosi allo stand di Fazioli il 25 settembre 2021, e già dalle prove sono rimasto profondamente colpito. Ha notevole eleganza, raffinatezza, trasparenza ed una grande attenzione alla linea e alla coesione del discorso musicale. Il suo tocco spazia da un pianissimo velato ed etereo ad un fortissimo straziante ed intenso, come si è potuto apprezzare nella Sonata op. 35 o nel climax dello Studio op. 25 n. 10 durante il Concorso. L’esecuzione del concerto per pianoforte e orchestra in fa minore op. 21 è stata altrettanto toccante. Un primo tempo molto cullante ed ipnotico, pieno di nuances e di colori, in cui già la primissima nota è arrivata dritta come una freccia. Il secondo tempo, come anche lui lo ha definito durante una chiacchierata nei giorni successivi alle premiazioni, è stato il momento che più aspettava durante il concorso, per poter coronare con questo magnifico Larghetto la meravigliosa esperienza del Concorso Chopin. Il terzo tempo è stato altrettanto interessante, ricco di dettagli ed emozioni improvvise. Come ho avuto modo di dirgli, secondo me lui è un pianista che elabora e sviluppa in maniera molto personale quello che suona, non esegue soltanto il pezzo in maniera statica e meccanica. Se dovessi trovare un aggettivo per descrivere Alexander, direi sicuramente “magnetico”.
Intervista con Alexander Gadjiev
Qual è stato il tuo percorso di studi e come pensi ti abbia aiutato a diventare il pianista che sei oggi?
Il mio percorso è stato ricco di scambi e di punti di vista, per esempio, la scuola di mio padre, che mi ha inizialmente insegnato a suonare il pianoforte, è stata quella russa del secondo dopoguerra, poi con Pavel Gililov ancora scuola russa, però quasi più legata al periodo pre-rivoluzionario, in un certo senso… la scuola russa forse più vecchia, quella più legata alle nuances, che alla visione d’insieme, e poi adesso con Eldar Nebolsin, c’è una visione più europea, quasi germanocentrica in un certo senso, legata molto di più al concetto di forma e alla metrica.
Come ti sei preparato per il concorso e quanto tempo hai impiegato per essere pronto?
Mi sono preparato esclusivamente per il concorso da luglio 2021, dopo il concorso a Sydney, ma in realtà, mi preparo da tutta la vita, in un certo senso… Mi sono anche lasciato andare, perché da un pò di tempo ho notato che progressivamente l’ossessione per la perfezione può portare a deformare un pianista, magari rendendolo incline ad un ascolto più ristretto del discorso musicale, perdendo di vista la linea e la forma anche se, secondo me, il concetto di forma come “schema rigido” è più dal punto di vista compositivo, che esecutivo. Penso ci voglia tanta onestà e tanta capacità di capire cose nuove, per lasciare andare via questa ossessione per una pseudo perfezione. La mia più grande preoccupazione è stata quella di arrivare al concorso nella forma ideale. Per esempio, anche durante il concorso ho preso delle lezioni di yoga in streaming con un insegnante russo, che non so se abbiano influito particolarmente, ma sono sicuramente state parte del processo. Infine, sono arrivato qui molto rilassato, senza nessuna aspettativa, solo con la voglia di mostrare quello che sento e quello che ho in testa.
Quali sono state le emozioni più forti durante questo percorso?
Le emozioni più forti sono state sicuramente suonare la Sonata ed il Concerto. Il riscontro del pubblico dopo la fine del Concerto è stato veramente un momento incredibile. Ci sono stati momenti in cui mi sono davvero lasciato andare, come nella Sonata e forse un pò troppo, nella Seconda Ballata. In questo ultimo periodo mi sono interessato particolarmente al discorso dell’energia e al come crearla, arrivando alla conclusione che durante un’esecuzione bisogna imparare a gestire la tensione interiore ed esteriore. Nei momenti più opportuni, può essere utile “cavalcare” questa tensione, senza “esplodere”… e quando succede, è una sensazione unica.
Com’è stato suonare su quel palco e con quel pubblico?
Suonare su quel palco è stato qualcosa di indicibile, e suonare per quel pubblico è stato irripetibile, indescrivibile, indimenticabile, e andrei avanti ancora a lungo per descrivere quei momenti. Devo anche ammettere che durante certe prove il tempo è passato velocissimo, mi sono proprio immerso, raggiungendo non solo la coscienza di quello che stavo suonando, ma anche la coscienza dell’insieme del pezzo, e anche questo, quando accade, è meraviglioso. È proprio una sensazione di liberazione e di “lasciare andare”.
Prima di iniziare ogni prova, a cosa pensavi e quali erano i tuoi stati d’animo?
Prima di iniziare ogni prova, cercavo sempre di raggiungere la concentrazione massima, e cercavo di espellere qualunque pensiero negativo che stesse girando per la testa, e soprattutto prima della terza prova mi hanno scattato una foto che secondo me è iconica, e che mi accompagnerà per sempre, e ho raggiunto un livello di concentrazione molto importante e direi… netta. Un’altra cosa che ho notato è che questa lieve tensione costante ha reso il mio studio giornaliero molto più efficace e apprezzabile diciamo, per esempio, l’altro giorno ho studiato un paio d’ore la Polonaise-Fantaisie e devo dire che è stato davvero stupendo, ero tranquillo e mi sono proprio goduto quello che stavo studiando, non credo mi sia mai successo prima.
Credi che questa esperienza ti abbia cambiato come pianista?
Sicuramente si, già solo l’esperienza di aver suonato ormai sei volte in una sala come la Filharmonia, con questo pubblico e con un livello di concentrazione tale, penso veramente mi abbia cambiato molto.
Qual è la prima cosa che farai appena tornato a casa e quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Una volta tornato a casa, a Berlino, mi piacerebbe dormire un po’. Altri progetti futuri possono essere un festival in Inghilterra, registrazioni per la BBC, un lungo tour in Polonia, un concerto per la Epta slovena, un concerto per Radio France e un concerto di Respighi a San Pietroburgo con Gergiev.
Dopo aver ascoltato, incontrato ed intervistato i partecipanti del Concorso Chopin sono giunto alla conclusione che, in questa edizione del Concorso, la giuria ha cercato di trovare un compromesso tra le esecuzioni “indiscutibilmente corrette” e le esecuzioni più pensate ed espressive. In alcuni casi ho potuto notare una sorta di atteggiamento da “show”, che non ha nulla di male, ma è davvero necessario per Chopin? Una musica così reale e affine alla nostra anima, ha davvero bisogno di essere portata a questi estremi? Bisognerebbe anche considerare come Chopin interpretava le sue opere per cercare di capirle al meglio, che non vuol dire diventare una pseudo copia, ma coglierne il significato, l’essenzialità e la genuinità, ispirandosi quindi anche alla persona estremamente raffinata, elegante e discreta che era Chopin. Deve prevalere un’idea “diplomatica” e di “largo consenso” oppure bisogna andare alla ricerca del significato più profondo, anche rischiando di andare contro ai canoni estetici della nostra epoca?
Federico Foglizzo
Foto: Darek Golik / Wojciech Grzedzinski