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Gatti e la Filarmonica tra Wagner e Webern

WEBERN Langsamer Satz BERG Concerto per violino e orchestra “Alla memoria di un angelo” WAGNER Die Meistersinger: an orchestral tribute (Trascrizione di Henk de Vlieger) violino Frank Peter Zimmermann Filarmonica della Scala, direttore Daniele Gatti

Milano, Teatro alla Scala, 24 marzo 2025

Dopo l’interlocutorio Falstaff, Daniele Gatti torna alla guida dell’orchestra scaligera nella sua “versione” di Filarmonica, con tante facce nuove in organico, fra cui si riconoscono due prestigiosi prestiti da Santa Cecilia, ossia la spalla (il milanese Carlo Maria Parazzoli) e la prima viola (Raffaele Mallozzi); e lo fa con un programma accuratamente soppesato e adattissimo alle doti del direttore milanese. Perché in effetti, sembra correre un pensiero unificante sia nella scelta dei tre brani che — dopo l’ascolto — nell’esecuzione degli stessi: con due tra le pagine meno radicali e urticanti della Seconda Scuola di Vienna che fronteggiano il Wagner dei Maestri cantori in una trascrizione sinfonica che lo priva delle voci, secondo un modello praticato sia dallo stesso trascrittore — Henk de Vlieger — per altre opere wagneriane, sia dal celebre Ring ohne Worte assemblato da Lorin Maazel.

Anche quella di Langsamer Satz, movimento lento, di Anton Webern era una trascrizione, dall’originale per quartetto d’archi: ampliandone le dimensioni sonore, Gatti sceglie anche di smussarne i contrasti interni e puntare su una lettura di macerata, quasi compiaciuta delibazione timbrica, in cui gli echi mahleriani sembravano più evidenti che mai. La grande qualità dell’esecuzione era evidente anche nella forza dei contrasti, nel dominio costante della struttura, e nella capacità di imprimere il proprio sigillo di interprete senza mai però soffocare la personalità di un’orchestra in ottima forma: il tutto, poi, dirigendo a memoria (come avverrà anche nel resto della serata). Del Concerto per violino di Berg, poi, Frank Peter Zimmermann è interprete non da oggi di riferimento, e il violinista tedesco si conferma di bravura quasi sbalorditiva in tutti i passaggi tecnicamente più ostici della partitura, affrontata all’insegna di un distaccato equilibrio, di una bellezza timbrica e — direi quasi — di una serenità che trovavano un perfetto corrispondente nelle idee di Gatti, che garantiva molta libertà agogica (tratto fondamentale in questo tipo di musica, troppo spesso ingabbiata in una rigidità che non le è mai appartenuta) ma anche una certa “oggettività”, quasi una freddezza che voleva mettere a fuoco ogni dettaglio, ogni intenzione dell’autore. Un’esecuzione ammirevole, insomma, ma forse meno personale di quanto ascoltato in Webern.

Come detto, le suite sinfoniche wagneriane sono molto praticate: ma se quella del Ring sfrutta principalmente quei momenti della Tetralogia che già in origine vedono l’assenza del canto (e si tratta di un’oretta di musica su almeno 14!), per i Maestri la questione è diversa, perché gli oltre cinquanta minuti di musica recuperano non solo i due celebri preludi (primo e terzo atto), ma anche momenti topici ove la voce è protagonista, come il primo monologo di Sachs, il Preislied e il Quintetto. E se in Wagner la relazione Ton/Wort, suono/parola è sempre centrale, lo è ancor più in un’opera ove si discetta così a lungo di forme poetiche, di gare, di regole: la soluzione di de Vlieger, insomma, per quanto ben realizzata, è secondo me banalizzante. E non a caso funziona bene, oltre che nei due Preludi, nel Quintetto, già di per sé scritto secondo un’astrattezza canora quasi estetizzante. Ma la lettura di Daniele Gatti spazza via ogni riserva: con Thielemann e pochi altri, è oggi uno dei direttori di riferimento del mondo wagneriano (non a caso, toccherà a lui aprire l’edizione 2025 del Festival di Bayreuth, proprio con i Maestri), cui imprime una morbidezza, una luminosità, una cura dei dettagli e una flessibilità che sembrano partire dalla “rivoluzione” di Karajan per portarla decisamente verso una cantabilità di stampo italiano. Proprio l’equilibrio è la chiave di volta del Wagner di Gatti: una sinuosità seducente, che si colora di melanconia nel Vorspiel al terzo atto e che non connota mai in senso eccessivamente teutonico o militaresco il celebre tema “dei maestri”. Applausi giustamente calorosi e ammirati.

Nicola Cattò

Foto: ©Filarmonica della Scala | Giorgio Gori

Data di pubblicazione: 25 Marzo 2025

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