KUČERA Don Buoso PUCCINI Gianni Schicchi Štefan Margita, Svatopluk Sem, Doubravka Součková, Jana Sýkorová, Daniel Matoušek, Martin Šrejma, Jana Šrejma Kačírková, Zdeněk Plech, Jiří Sulženko, Jiří Hájek, Kateřina Hebelková, Martin Matoušek, Daniel Klánský; Orchestra dell’Opera Nazionale di Praga, direttore Giancarlo Andretta regia David Radok costumi Zuzana Ježková luci Přemysl Janda
Praga, Teatro Nazionale, 3 novembre 2023
L’idea di creare un antefatto alla breve storia di Gianni Schicchi di Puccini è suggestiva e ricca di sollecitazioni. Concepita dal regista praghese David Radok con le musiche appositamente composte dal ceco Jan Kučera per il Teatro Nazionale di Praga, l’opera in un atto Don Buoso in prima assoluta — immaginario antefatto dello Schicchi e rigorosamente in italiano su libretto di Ondřej Hučín — è indubbiamente in tal senso una delle molte iniziative nate in vista dell’imminente centenario della scomparsa di Puccini il prossimo anno. Consideriamo anche una certa concezione dello spettacolo per attirare i favori del pubblico secondo l’abitudine, ricorrente nel cinema di questi ultimi anni, di creare un “prequel” a grandi successi (vedi ad esempio la saga di “Alien”). Del resto l’impostazione registica risulta presto dominante sulla concezione musicale. Don Buoso Donati, sopravvissuto a un attentato che lo ha tuttavia ferito con alcune pallottole ancora in corpo, siede di profilo, come una statua, a una lunga tavola in occasione del proprio compleanno, commenta e dà ordini ai famigliari che si muovono intorno come satelliti, detta il proprio testamento, afferma l’importanza dei valori della famiglia, si impone proprio come un severo pater familias, risultando presto inviso a tutti, che attendono solo la sua morte: è infatti intorno a lui che il mondo è costretto a girare. Rispetto allo Schicchi l’impianto drammaturgico non è comico, anzi, tende all’oppressione in uno scenario cupo e grigio, fra geometrie dove si inscrivono una scarna ed essenziale mobilia e la disposizione e i movimenti dei personaggi, spesso immobili come l’arredamento. Sullo sfondo si intravede una copia dell’Ultima cena di Leonardo, mentre in un clima a tratti distopico o surreale Buoso riceve in dono un guinzaglio per un cane che non possiede o un vaso kitsch che cade rompendosi, fra somministrazioni di morfina per lenire il dolore, mentre un asino d’oro in dimensioni naturali troneggia in primo piano come simbolo delle sue ricchezze (appunto “la migliore mula di Toscana”). In questo contesto claustrofobico, che pare senza via d’uscita, il riferimento indiretto alla società del nostro tempo va inevitabilmente a quanto descritto dal mantra di Jan Paul Sartre secondo cui “l’inferno sono gli altri” nel celebre dramma A porte chiuse, dove la condanna dei protagonisti è la stessa reciproca convivenza senza scampo. La lettura è quindi trasversale, dove solo la morte di Buoso offre apparentemente una via d’uscita, e il quadro dell’allestimento, impostato in un ambito contemporaneo, risulta assai convincente. Lo stile compositivo dell’impianto musicale, prevalentemente tonale, è ibrido e incostante ma piacevole, alternando imitazioni di tipo parodistico da fin de siècle e da Puccini stesso a processi atonali, ovvero libere associazioni di armonie, senza rinunciare ad arie (specie il concertato e l’aria finale di Don Buoso) che sconfinano in pieno stile musical per l’articolazione melodica e l’impianto tipico delle modulazioni delle riprese, con aspetti da musica applicata. Si cerca di coinvolgere gli ascoltatori impiegando anche il celeberrimo internazionale “tanti auguri a te”, sollecitando le memorie del pubblico radicate nell’infanzia di ognuno.
L’orchestrazione deve per forza di cose confrontarsi direttamente col sinfonismo pucciniano, ma muovendosi all’opposto fra tratti spesso scarni ed essenziali, con una partitura tagliata in alcune parti per facilitare l’azione, e sottoposta al vigile controllo di Giancarlo Andretta onde evitare in alcuni passaggi di soverchiare le voci. Proprio Andretta afferma fin da subito la decennale esperienza nel concertare delineando in modo infallibile le strutture, nel fornire punti di riferimento invalicabili e chiari per orchestra e cantanti, nell’uniformare le condotte esecutive per creare un risultato omogeneo e ben equilibrato, nel bilanciare magistralmente buca e palcoscenico. Nello Schicchi Andretta conferma l’importanza dell’elemento ritmico come motore dell’azione e il suo rapporto equilibrato con le linee melodiche e la cantabilità generale, rivelando una grande attenzione alla scrittura di Puccini. La regia si delinea con coerenza essendo stato creato un antefatto, senza rinunciare ad alcune gag originali inaspettate: i famigliari che picchiano il cadavere di Don Buoso fino a sparargli invano, per nasconderlo appoggiandovisi in modo imbarazzante in presenza di visitatori, discutono sul da farsi a tavola come in un ritrovo di mafiosi. Il cast dà il meglio di sé nello Schicchi, specie soprani e tenori, e con un ottimo Gianni Schicchi (Svatopluk Sem) accanto a una brillante Lauretta (Doubravka Součkova). Pubblico entusiasta, con tanto di standing ovation.
Mirko Schipilliti