Cole Porter in Paris testi e musiche Cole Porter concezione, dialoghi e messinscena Christophe Mirabeau scene e costumi Casilda Desazars coreografia Caroline Roëlands. Con Léovanie Raud, Marion Tassou, Charlène Duval, Yoni Amar, Richard Delestre, Matthieu Michard Orchestre des Frivolités Parisiennes
Parigi, Théâtre du Châtelet, 12 dicembre 2021
«Il compositore Cole Porter era una delle stelle di questa Parigi spumeggiante che, all’indomani della Grande Strage del 14-18, rimescolava tutte le carte del mondo dell’arte. Le Frivolités Parisiennes offrono uno spettacolo alla fine dell’anno con le sue canzoni, scritte prima del suo ritorno negli Stati Uniti. È davvero il più parigino degli americani che si stabilirono nella capitale insieme a Ernest Hemingway, Gertrude Stein, George Gershwin, Man Ray, Joséphine Baker, John Roderigo Dos Passos, la generazione perduta che si riuniva intorno a Shakespeare & Co di Sylvia Beach. Le sue canzoni, dal sapore autobiografico, sono spesso legate alla sua vita parigina tra le due guerre. Attraverso di loro, Porter (che, insieme a Jerome Kern, Irving Berlin, George Gershwin e Richard Rodgers, costituiva i Big Five dell’epoca d’oro di Broadway) traccia il ritratto di una mente brillante con una natura squisita e sofisticata, ma anche i contorni di un’anima segreta e amante della libertà. Questa selezione di canzoni è stata riorchestrata per sottolineare la dimensione scenica e teatrale di questo repertorio musicale. I dialoghi aggiuntivi sono stati ispirati dalla corrispondenza di Cole Porter, che non è mai stata pubblicata in Francia. Cole Porter in Paris è concepito come un libro illustrato, un affresco di suoni e visioni che ci trasporta nei Roaring Twenties, evocando il viaggio personale dell’uomo e dell’artista tanto quanto il nuovo respiro di vita che pervase Parigi dopo la Grande Guerra».
Ho voluto riportare per intero la presentazione che lo Châtelet ha fatto dello spettacolo che si svolgerà fino al primo gennaio per far capire al lettore di che si tratta: non la messinscena completa di uno dei musical del grande compositore americano (nemmeno quel Paris che andò in scena nel 1928) ma una specie di ritratto biografico del suo soggiorno parigino, fra il ’19 e il ’29, segnato dalla libertà personale e creative, dalla ricchezza personale aumentata dal matrimonio con Linda Lee Thomas e dalle avventure omosessuali. I coleporteurs (gioco di parole con colporteur, in francese “venditore ambulante”) sono al centro dell’avanguardia artistica parigina, sia in città che nelle trasferte a Venezia, al Lido o a Ca’ Rezzonico: e la bellezza dei songs che Porter compone è pari solo alla loro libertà espressiva, al loro sovrabbondare di doppi sensi, con un’ambiguità che trova il suo precedente solo nel teatro di Mozart, a mio avviso.
Lo spettacolo parigino è meraviglioso: orchestra (o meglio, big band) in scena, con un virtuosismo e uno swing inimitabili, un allestimento essenziale nelle scene, che rivelano a poco a poco ambienti e evocano luoghi storicamente definiti, ma sfarzoso nel sovrabbondare di costumi e accessori: d’altronde la moglie di Porter si vantava di non avere “mai portato lo stesso paio di guanti per due volte”! Tre attori-cantanti si dividono il ruolo di Porter, talora nella stessa canzone, in una sorta di riflesso infinito di una personalità inafferrabile: ma è tutta la troupe di cantanti-attori, che alterna francese e inglese, a convincere pienamente. E quando, con il frac, il cilindro e il bastone di ordinanza, chiudono la serata cantando “Take me back to Manhattan”, il rimpianto di quegli anni folli e affascinanti si fa più vivo che mai. Trionfo, ça va sens dire: chi fosse a Parigi nei prossimi giorni non lo perda!
Nicola Cattò
Crediti: Hélène Pambrun, Thomas Amouroux