LISZT Dante-Symphonie per due pianoforti e coro di voci bianche pianoforti Marco Sollini, Salvatore Barbatano Coro di voci bianche del Teatro Regio di Torino, direttore Claudio Fenoglio
Venaria Reale, Cappella di Sant’Uberto, 15 settembre 2022
Prevista per il 10 ottobre dello scorso anno e rinviata, è ora finalmente approdata nella stupenda architettura juvarriana alle porte di Torino la Dante-Symphonie di Liszt che il festival “Armonie della sera” aveva programmato per onorare il settimo centenario della morte del Poeta. Il debutto dell’omaggio si era così tenuto a Roma, in Sant’Ignazio il 23 ottobre, nel più felice dei modi, come testimoniato per i lettori di MUSICA on line da Maurizio Modugno (https://www.rivistamusica.com/armonie-della-sera-tra-inferno-e-paradiso/), che aveva sottolineato come si fosse trattato di un’occasione capace di gettare una luce rivelatrice su una composizione troppo spesso sottovalutata, magistralmente eseguita da Marco Sollini e Salvatore Barbatano. Altrettanto può dirsi a proposito di questa nuova esecuzione da parte dello stesso duo, arricchita dalla scelta del coro di voci bianche in luogo di quello femminile (opzione prevista dall’autore), un non secondario passo avanti nella comprensione profonda di un brano che, per l’arditezza della concezione, la ricchezza dell’invenzione e i molteplici, sorprendenti presagi di tanta musica ancora di là da venire (ci proietta a Mahler, Bartók, Skrjabin, Messiaen, e altri ancora), ha tutti i crismi per essere considerato un capolavoro, meritevole di maggior diffusione. Al di là della contingenza celebrativa, non sono certo frequenti le opportunità di ascoltarla nella stesura originale per orchestra del 1856 così come nella trascrizione che Liszt completò nel 1859. E nei casi in cui quest’ultima venga proposta, spesso diventa il fulcro di operazioni multimediali, con l’ausilio di letture, proiezioni o quant’altro. Un esempio possono essere quelle del duo Bresciani-Nicolosi a Roma, già citate da Modugno; per esperienza diretta posso ricordare l’esecuzione (vedasi MUSICA n. 234) del duo Génot-Viazzo a Pinerolo nel 2012, accompagnata, fra altre cose, dalla proiezione del rarissimo film L’Inferno girato nel 1911 da Bertolini, Padovan e de Liguoro. Beninteso, si tratta di iniziative che possono attrarre e funzionare e, in qualche modo, non prive di una legittimazione storica. L’originalità geniale della Dante-Symphonie risiede infatti anche nella sua natura di autentico progetto, dallo sviluppo lungo e tormentato. Folgorato dalla Commedia attraverso le appassionate letture condivise con le compagne Marie d’Agoult e Carolyne zu Sayn-Wittgenstein, Liszt presto la ritenne perfetta per il suo ideale di sintesi fra musica, poesia e pittura (il primo ‘800 era un fiorire di soggetti danteschi per mano di artisti quali Koch, i Nazareni, Delacroix…). Ossia, “tutto un mondo di suggestioni sinestetiche”, come ha ben titolato il suo intervento di presentazione del concerto il musicologo Attilio Piovano, tradottosi in un’iniziale ma solo ipotizzata veste drammaturgico-plastica molto avveniristica (arie, duetti e cori su testo elaborato dall’amico poeta Joseph Autran e un diorama per le immagini del berlinese Bonaventura Genelli), accantonata a beneficio di una più pratica versione orchestrale e corale. E’ pur vero che il riverito dedicatario Wagner ci mise di suo, invitando Liszt ad arrestarsi, al pari del Poeta Sommo, di fronte alla visione del Paradiso. Ma è probabile che nel compositore fosse già chiaro il disegno di una struttura estremamente concentrata e volutamente frammentaria perché non narrativa, espressione piuttosto di sensazioni e stati d’animo ispirati dalla poesia (solo pochissimi versi compaiono in partitura). Così il lungo turbinare cupo e ossessivo dell’impressione denominata Inferno può svanire all’improvviso per commuoverci teneramente di fronte alla pena di Paolo e Francesca, mentre il Purgatorio ci avvolge prima in atmosfere inquiete e sospese per poi farci penetrare nelle spire di un fugato complesso, enigmatico ma non accademico, fino al conclusivo approdo corale sui primi versi del Magnificat, invocazione ammantata da Liszt con un velo sonoro diafano e lontano, di arcaica, confidente dolcezza, che ci fa pensare a certi passaggi del suo Christus o al misticismo parsifaliano. Certo, la grandiosità d’impianto e la ricchezza delle soluzioni timbriche della versione orchestrale è impressionante. Ma la trascrizione lascia stupefatti per la coesione d’insieme, l’incessante ricerca di traslazioni non scontate e la maestria con la quale sono distribuiti fra i due strumenti linee e ruoli dei momenti più lirici e riflessivi del lavoro (in particolare, clarinetto basso, corno inglese, arpa). Ritornando al discorso iniziato, non si può che condividere l’opinione del collega Modugno, ossia che il carattere peculiare della versione pianistica ha una forza che non necessita di supporti extramusicali e dunque proporla in purezza, come è stato voluto da “Armonie della sera”, è la scelta più convincente.
La padronanza esecutiva e interpretativa offerta alla Venaria Reale da Marco Sollini e Salvatore Barbatano era di quelle che farebbero pensare ad una lunga consuetudine, mentre non si trattava che della terza prova pubblica con la Dante-Symphonie (a breve, figurerà anche in disco). Dunque, è il frutto di un lavoro di scavo attentissimo, accompagnato da un’adesione emotiva totale, senza la quale non avrebbe senso accostarsi ad un brano così arduo ma soprattutto estremo, che non accetta compromessi in termini di vigore come di abbandono. Non meno impeccabile e coinvolta è parsa la prova del Coro di voci bianche del Regio di Torino guidato da Claudio Fenoglio, che si farà ricordare anche per la purezza davvero ultraterrena dell’unica voce maschile presente, impegnata nel breve inciso solistico. Grande e meritato successo, ricompensato da un Corale bachiano sobriamente trascritto da Kurtág e dalla ripetizione del Magnificat.
Giorgio Rampone
Foto: Rosa Natale