VERDI Macbeth L. Salsi, D. Schillaci, G. Pelligra, A. Vinogradov, F. Castoro, L. Leoni, C. Polese; Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo di Napoli, direttore Marco Armiliato
Napoli, Teatro Politeama, 9 marzo 2023
Se il Macbeth di Shakespeare è la rappresentazione delle manifestazioni del Male Assoluto in tutte le sue forme umanamente declinate — brama di potere, sete di sangue, odio, crudeltà, come un quadro di Bosch –, nell’opera di Verdi, l’azione, rispetto all’originale scespiriano, si muove con una ferocia ancora più essenziale. La rappresentazione dell’orrore diventa qui ancora più scarna, una corsa diretta verso l’abominio.
In questa produzione in forma di concerto, che ha riportato il capolavoro verdiano a Napoli dopo venticinque anni, Luca Salsi, uno dei baritoni italiani più affermati a livello internazionale, ricopriva il ruolo principale. La sua interpretazione disegnava bene le ambizioni politiche di Macbeth rivelandone tutte le debolezze. La voce di Salsi (nonostante una fastidiosa tosse) guidava il pubblico attraverso l’efferatezza, la disperazione e la follia del personaggio, verso l’epilogo atroce. Salsi ha descritto la scissione tra brama di potere e rimorsi di coscienza con una caratterizzazione tesa e forte, ma senza mai eccedere negli accenti. Se Verdi offre a Macbeth alcuni dei suoi momenti musicalmente e scenicamente più profondi e lucidamente angosciosi, Salsi li ha sapientemente gestiti, dandoci un quadro magistrale del tormentato personaggio.
Lady Macbeth era interpretata dal soprano Daniela Schillaci, che ha sostituito all’ultimo momento Sondra Radvanovsky. Secondo l’idea di Verdi, la Lady deve avere una voce “brutta”, ossia lontana da certo belcantismo italico, di cui invece la Schillaci è degnissima rappresentante. È un soprano di ottima scuola e con un repertorio ampio, vocalità limpida, fraseggio elegante e proiezione notevole. La sua Lady però non aveva la “tenebrosità” necessaria: nel registro alto i toni erano chiarissimi, ma forse proprio per questo poco adatti a un personaggio “dark”, i cui abissi morali si devono riflettere nelle ruvidezze vocali. La sua scena del sonnambulismo, benché impeccabilmente eseguita quanto a tecnica, difettava dell’ambigua, fosca perversità del personaggio che ha condotto Macbeth all’autodistruzione, quel tono drammatico nella voce che si esprime magari con un vibrato gutturale, talvolta con acuti aspri: un’interpretazione che dovrebbe essere “estrema”, e che avrebbe meglio corrisposto ai desideri di Verdi, che aveva in mente una voce corrispondente al carattere abietto del personaggio.
Un Banco dalla voce ricca è stato quello di Alexander Vinogradov, che ha fornito una base solida all’ensemble vocale, impressionando per il suono potente a cui univa una buona presenza scenica, in particolare nella romanza “Come dal ciel precipita”. Da parte sua, Giulio Pelligra ha cantato il ruolo di Macduff con appassionata partecipazione ma senza riuscire ad essere coinvolgente, soprattutto a causa del non eccelso volume della voce.
Anche Francesco Castoro nei panni di Malcolm e Chiara Polese nei panni della dama di compagnia hanno dato un buon contributo alla serata; e così il Medico di Luciano Leoni e il Sicario di Takaki Kurihara. I tre pilastri su cui Verdi fonda l’azione drammatica sono Macbeth, Lady Macbeth e il coro delle streghe: forte e crudele, voleva quest’ultimo, e così è stato nella bella performance del coro guidato da Basso, che è apparso padrone delle sfide poste dalla partitura, con le voci che suonavano equilibrate e concentrate.
Il direttore Marco Armiliato non ha rischiato troppo, con una lettura attenta e plausibile, traendo dall’orchestra un suono duttile e omogeneo, senza indugi e in alcuni momenti anche brillante. Armiliato ha saputo sfruttare l’ottima acustica del Teatro Politeama con grande sensibilità, e non ha mai permesso all’orchestra di soffocare le voci, così che il volume ben dosato ha faceva percepire tutte le sfumature presenti in partitura.
Lorenzo Fiorito
Foto: L. Romano