BELLINI I Capuleti e i Montecchi A. Di Matteo, R. Iniesta, C. Amarù, M. Ciaponi, G. Loconsolo; Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini di Catania, direttore Fabrizio Maria Carminati regia scene e costumi Gianluca Falaschi.
Catania, Teatro Massimo Bellini, 23 e 25 settembre 2022
Un nuovo allestimento de I Capuleti e i Montecchi di Bellini, con Fabrizio Maria Carminati direttore dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania, Luigi Petrozziello, direttore del Coro dell’Ente e con la regia lr scene e i costumi di Gianluca Falaschi, è stato proposto quale spettacolo di punta del Bellini International Context, l’ampia rassegna di eventi, giunta al suo secondo anno, organizzata in omaggio al compositore catanese dalla Regione Siciliana, con un ampio seguito di partner (tra essi, i tre maggiori teatri lirici siciliani, la FOOS, i Conservatori di Palermo, Catania e Messina, Taormina Arte, l’Università di Catania). La programmazione della rassegna, affidata a Carminati (direttore artistico) e a Gianna Fratta (project manager), ha previsto un’anteprima a Taormina in luglio e poi, durante il mese di settembre e i primi due giorni di ottobre, una fitta serie di spettacoli ed incontri culturali dislocati in varie sedi della città etnea. Si sa che la genesi de I Capuleti e i Montecchi,sesta opera di Bellini, non fu delle più semplici.Posto d’improvviso sotto contratto dal Teatro La Fenice di Venezia in sostituzione del suo rivale Giovanni Pacini, inadempiente ai propri impegni con quel teatro, Bellini si trovò infatti costretto a lavorare in gran fretta. Pur oppresso dall’ansia per il poco tempo a disposizionee e dai malanni procuratigli dal gelido clima lagunare, egli riuscì a comporre la sua partitura in meno di due mesi, tra l’ultima decade di gennaio e i primi di marzo del 1830; e lo fece attingendo, com’era consuetudine nel mondo teatrale di allora, alla sua produzione precedente. E dunque ricavò dalla romanza di Nelly nel primo atto dell’Adelson e Salvini (Napoli, 1824) la cavatina di Giulietta, «Oh! Quante volte, oh quante», che rimane il brano più celebre dei Capuleti; e adattò una decina tra brani e temi della Zaira, caduta a Parma l’anno precedente, ad un testo che il librettista Felice Romani aveva già scritto nel 1825 per l’opera di Nicola Vaccai Giulietta e Romeo e che rimaneggiò per la nuova opera di Bellini. Un libretto, quello di Romani, che attinge a varie fonti letterarie italiane, tralasciando il modello del Romeo and Juliet di Shakespeare; il che fu giudicato un imperdonabile tradimento drammaturgico dai musicisti dell’avanguardia parigina dell’epoca, che idoatravano Shakespeare. Berlioz criticò duramente la stringata riduzione narrativa compiuta da Romani, come anche l’aver svirilizzato il personaggio di Romeo affidandolo ad una voce femminile. Inoltre, sia pur con toni diversi, Berlioz, Liszt e Wagner accusarono Bellini di debolezza creativa dinanzi ad un soggetto che il drammaturgo inglese aveva elevato ad una potenza tragica assoluta. In realtà Bellini riversò nella musica dei Capuleti una cospicua dose di eccitazione guerresca, riscontrabile durante tutto il primo atto nei concitati interventi di Tebaldo, seguace dei Capuleti e promesso sposo di Giulietta, del padre di lei Capellio, capo della fazione guelfa dei Capuleti, di Romeo e segnatamente del coro.
Al declamato preromantico, già sperimentato nella sua quarta opera, La straniera, Bellini seppe alternare le tenui tinte della sua inconfondibile ispirazione elegiaca; e gli riuscì anche di curare i dettagli dell’orchestrazione, impreziosendo la partitura con memorabili interventi espressivi del corno, del clarinetto, del violoncello, dell’arpa. Il punto debole della drammaturgia del libretto dei Capuleti è in realtà riscontrabile nelle palesi incongruenze di un racconto assai scombinato, in cui Romani ci propone una Giulietta spaventata, in perenne ostaggio dell’autorità paterna, e che dunque si mostra reticente ad accogliere le ripetute proposte di una fuga amorosa che Romeo le rivolge. Ma anche il personaggio di Romeo non è esente da incoerenze: capo della fazione ghibellina dei Montecchi, egli è infatti reo dell’uccisione del fratello di Giulietta, ma ardisce presentarsi a Capellio sotto le mentite spoglie di ambasciatore di pace tra le due famiglie veronesi in guerra, rivolgendogli quale proposta conciliatrice (cavatina «Se Romeo t’uccise un figlio») il proprio matrimonio con Giulietta; proposta assurda, che viene sdegnosamente respinta e che ovviamente esaspera gli animi. Ma l’aspetto più paradossale ed inverosimile della scena è determinato dal fatto che nessuno dei Capuleti riconosca Romeo nell’impudente ambasciatore dei Montecchi. Il secondo atto non possiede l’intensità drammatica del primo, ma Bellini riesce con abilità a condurre la vicenda fino al tragico epilogo: pagina di grande, commovente bellezza, tra le migliori da lui composte. Il regista Gianluca Falaschi, nel voler modernizzare l’ambientazione dell’opera, ha disegnato una scena unica costituita dal tetro salone di una grande casa ottocentesca in abbandono, all’interno del quale si svolgono, talora non senza una certa inutile confusione di persone negli spostamenti e nella collocazione a vista di sedie, tavoli ed altro, tutti gli episodi dell’opera. L’idea, di segno negativo, che guida il regista romano è che il nodo principale dell’opera sia costituito dal dolore insanabile di Giulietta, divisa tra i doveri filiali e l’amore irrealizzabile per Romeo: una donna senza fortuna e senza alcuna speranza di felicità. La casa simboleggia dunque la prigionia psicologica che affligge Giulietta rispetto alla morale repressiva e alla volontà tirannica di Capellio; e a rafforzare tale idea, sulla scena già cupa si aggirano i cupi fantasmi delle ansie e dei complessi di colpa nutriti dalla protagonista verso il padre e verso il fratello ucciso dal suo amante. Al pubblico che potrebbe chiedergli qualche ragguaglio in merito alla necessità di rappresentare questo tratto autoritario in riferimento alla borghesia ottocentesca, quando nel Medio Evo, epoca in cui si svolge la vicenda dei due giovani amanti veronesi, la sottomissione sociale della donna era ben più marcata, il regista spiegherà che la sua scelta consente di estendere la sua visione negativa, pessimistica, della vicenda di Giulietta e Romeo alla critica della condizione della donna nel mondo attuale, che da quella borghesia, autoritaria e sessista, discende in linea diretta. Falaschi è un creativo che all’inizio della sua carriera si è affermato in campo internazionale come costumista; in questa sua produzione catanese ha usato colori scuri per i pesanti vestiti borghesi del coro e dei protagonisti, riservando il chiaro solo al bianco abito di Giulietta; occorre anche dire che la figura del Romeo in gilè e maniche di camicia, disegnata da Falaschi per il mezzosoprano en travesti Chiara Amarù, non è apparsa convincente.
Artista di qualità, proveniente da importanti affermazioni nel repertorio rossiniano, la Amarù è stata interprete sensibile e vocalmente ben padrona di un ruolo difficile, nel quale peraltro esordiva; il suo Romeo non si imponeva però sulla scena per via di discutibili posture e movimenti suggeriti dal regista, ma anche perchè sfavorito dalla presenza delle figure slanciate di Antonio Di Matteo (Capellio), Marco Ciaponi (Tebaldo) e Guido Loconsolo (Lorenzo). Interpreti questi, dotati tutti di una dizione chiara e di qualità vocali e stilistiche eccellenti. Il soprano spagnolo Ruth Iniesta, anche lei esordiente nel ruolo di Giulietta, ha messo in mostra una personalità artistica di notevole interesse: l’intensità espressiva con cui ha tratteggiato il suo tormentato personaggio era infatti sostenuta da una smagliante tecnica belcantistica, agile e sicura in ogni registro; il pubblico catanese le ha tributato una calorosa ovazione al termine della cavatina del primo atto, apprezzandola, insieme alla Amarù, anche in altri momenti dello spettacolo. Fabrizio Maria Carminati ha un dichiarato feeling con le opere di Bellini, che dirige da tempo con una cura ed un’autorevolezza riconosciute dalla critica internazionale: basterà citare qui il prestigioso premio ICMA, assegnato quest’anno alla sua incisione del Pirata (Prima Classics, 2021) realizzata nell’estate del 2020 al Teatro Sangiorgi di Catania con Marina Rebeka e Javier Camarena nei ruoli principali, e con i complessi dell’Ente lirico etneo. L’attenta concertazione di Carminati è stata premiata da una bella prestazione dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini ed anche il Coro, istruito a dovere da Luigi Petrozziello, si è mostrato in ottima forma, animando con misura i toni guerreschi che si accendono nel primo atto e quelli dolenti del secondo. Come è avvenuto lo scorso anno per Norma, la prima dei Capuleti e i Montecchi è stata trasmessa in diretta da RAI 5, con l’accurata regia televisiva di Barbara Napolitano. Per la seconda delle due recite programmate Carminati ha lasciato il podio al suo brillante allievo giapponese Yuki Yamasaki.
Dario Miozzi