ROSSINI Bianca e Falliero A. Wakizono, J. Pratt, D. Korchak, G. Manoshvili, N. Donini, C. Buendìa, C. Zazzaro, D. Diaz; Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, Orchestra Sinfornica Nazionale della Rai, direttore Roberto Abbado regia Jean-Louis Grinda scene e costumi Rudy Sabounghi
ROSSINI L’equivoco stravagante M. Barakova, N. Alaimo, C. Pachon, P. Adaìni, P. Calvache, M. Macchioni; Coro del Teatro della Fortuna di Fano, Filarmonica Gioachino Rossini, direttore Michele Spotti regia Moshe Leiser e Patrice Caurier scene Christian Fenouillat costumi Agostino Cavalca
ROSSINI Ermione A. Bartoli, E. Scala, J.D. Flórez, V. Yarovaya, A. Mandrillo, M. Mofidian, M. Antonie, P. Leguizamòn, T. Sun; Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, Orchestra Sinfornica Nazionale della Rai, direttore Michele Mariotti regia Johannes Erath scene Heike Scheele costumi Jorge Jara
Rossini Opera Festival 2024, Pesaro 7, 16, 17 agosto 2024
Festival importante, quello del 2024 per Pesaro, chiamato a celebrare la nomina della città a Capitale della Cultura 2024 nonché l’edizione numero 45 della manifestazione: ecco allora gli appuntamenti allargarsi da tre a cinque, con nuovi allestimenti di due opere serie della maturità, la ripresa di due opere comiche (tra cui, immancabile, la più celebre di tutte, Il barbiere di Siviglia), una speciale edizione in forma di concerto del Viaggio a Reims a 40 anni dalla trionfale riscoperta con Claudio Abbado, oltre al sospirato ritorno del vecchio Palafestival, ora Auditorium Scavolini, che dopo essere stato restituito alla città lo scorso febbraio è stato ufficialmente riconsegnato al Rof con l’inaugurale Bianca e Falliero. Al di là dell’emozione di ritornare in città, con uno spazio ampio e fruibile (ma colpisce la pericolosa mancanza di corrimani per le ripide scalinate delle gradinate) va detto che lo spettacolo di Grinda non è sembrato sfruttare al massimo le potenzialità del luogo, chiudendo il boccascena in maniera simile a quanto si vede già alla Vitrifrigo Arena e impostando una regia sostanzialmente innocua e priva di particolari voli d’ispirazione. Vedremo, nelle prossime stagioni, se le potenzialità scenotecniche di questo spazio così peculiare potranno di nuovo essere esaltate alla maniera di tanti memorabili spettacoli del passato: per ora l’allestimento passa con anonima correttezza. Meglio sono andate le cose dal punto di vista musicale, pur con alcuni distinguo. Roberto Abbado si conferma musicista finissimo e, a capo dell’Orchestra Sinfonica della Rai, cerca e trova colori raffinati e preziosismi in una partitura che non manca di pagine assolutamente memorabili: quello che semmai gli è sembrato mancare in questa occasione è stato un passo teatrale un po’ più mordace, di cui l’opera avrebbe avuto bisogno, in particolare nel lunghissimo I Atto (che è anche quello in cui l’ispirazione di Rossini appare un po’ più di maniera). Nel cast hanno brillato in particolare il Contareno di Dmitry Korchak e la Bianca di Jessica Pratt: il primo non è il baritenore che la parte richiede, ma accenta con energia e canta con voce limpida e squillante, buon volume e coloratura fluida mentre la seconda trova in Bianca un personaggio particolarmente congeniale, eseguendolo in maniera impeccabile, pur con qualche segno di stanchezza nel canto di sbalzo e, alla prima, una forma non ottimale che le costa un sovracuto finale piuttosto malriuscito, oltre che brutto musicalmente: pazienza, anche perché il gusto nelle variazioni e la toccante espressività del fraseggio (che negli scontri con il padre sa tingersi anche di energia) dimostrano la sua affinità con questo tipo di ruoli.
Quanto al Falliero di Aya Wakizono si dovranno lodare il gusto e l’impegno dell’artista nel non forzare mai la propria voce, cercando di creare un personaggio giovanile e impetuoso, di indubbio fascino: la parte, tuttavia, è davvero abnorme e tutto il côté guerresco ed eroico del personaggio risulta un po’ sacrificato (la Wakizono sembra più un soprano lirico che un mezzo) in una realizzazione un po’ sbilanciata verso il lato tenero e sognante, ma la scrittura di Falliero è oggettivamente un rebus di difficile soluzione, considerandone l’estensione e la complessità. Una prova forse non memorabile ma di certo attendibile. Notevole il Capellio di Giorgi Manoshvili e, nel complesso, ben scelti i vari interpreti dei ruoli minori. Pubblico, alla prima, non foltissimo ma prodigo di applausi per tutti, in particolare per il terzetto protagonista e direttore.
Al Teatro Rossini è andata poi in scena la ripresa del fortunato Equivoco stravagante firmato da Moshe Leiser e Patrice Caurier nel 2019 che, nel passaggio dagli ampi spazi della Vitrifrigo Arena al palcoscenico più raccolto del Rossini, ha enormemente guadagnato, confermandosi spettacolo divertente e vivace, in cui i gustosi nonsense del libretto sono stati esaltati da una regia di surreale eleganza, in grado di non calcare quasi mai la mano sulla grevità di alcuni doppisensi e venendo ricompensata dalle franche e spontanee risate di un pubblico estremamente divertito. Merito anche del cast, ovviamente, particolarmente affiatato: Nicola Alaimo è un Gamberotto che si muove nel suo naturale elemento, gli basta entrare in scena e il palcoscenico è tutto suo nella realizzazione di un personaggio di irresistibile comunicativa, giustamente festeggiatissimo. Sua degna spalla è il Buralicchio disinvolto e vivacissimo di Carles Pachon, in grado non solo di tenere testa al talento di mattatore teatrale di Alaimo, ma di ritagliarsi i giusti momenti di surreale protagonismo (tolta una perdonabile amnesia in un recitativo): del baritono catalano andrà peraltro lodata la perfetta dizione italiana, in grado di non perdere un colpo nemmeno nel più indiavolato dei sillabati, un complimento da estendere anche alla protagonista, la russa Maria Barakova, che non sarà il contralto profondo che la parte richiede, ma che canta e accenta con divertita complicità, moderando l’inevitabile birignao dei complicatissimi (ma irresistibili) recitativi e dimostrandosi un’eccellente primadonna buffa. Ottima la prova di Pietro Adaini, tenore in continua crescita, che con questo Ernesto firma forse la sua migliore performance pesarese, cesellando con particolare raffinatezza la splendida cavatina “D’un tenero ardore”. A completare un cast scelto con particolare felicità la Rosalia di Patricia Calvache e il Frontino di Matteo Macchioni. Alla prima recita la Filarmonica Rossini non era stata colta in una delle sue serate migliori, ma nel corso delle repliche (si recensisce la terza) la situazione si è assestata, permettendo alla brillante direzione di Michele Spotti (tra i talenti più interessanti della sua generazione) di mettere in mostra le proprie qualità. Lodi anche per il Coro del Teatro della Fortuna di Fano, buoni esecutori e attori irresistibili. Successo vibrante per tutti al termine da parte di un teatro pieno e divertito. Se gli applausi per l’Equivoco sono stati intensi e prolungati, quelli per Ermione hanno raggiunto quasi i decibel del trionfo, segnando il successo di una delle più felici produzioni pesaresi degli ultimi anni. Opera mitica e negletta, Ermione, che dopo lo scarso successo del debutto non venne quasi più ripresa fino alla rinascita rossiniana del ‘900: su questo nuovo allestimento pesarese, accolto dai convinti applausi di una Vitrifrigo Arena piena e attenta, si concentravano attese e curiosità, ricompensate da un’esecuzione di incandescente intensità, addirittura travolgente nel caso della protagonista. Anastasia Bartoli, difatti, affronta il ruolo del titolo con impeto totalizzante, fraseggio sempre a fuoco e una preparazione inappuntabile, creando un personaggio passionale e infuocato ma mai scomposto (trova, anzi, apprezzabili sfumature e non si accontenta di esibire un volume privilegiato): la sua Gran Scena del II Atto ferma lo spettacolo con una meritatissima esplosione di entusiasmo del pubblico, che si ripete alle uscite finali. Al suo fianco è bravissimo il Pirro di Enea Scala, che sale e scende dal pentagramma con travolgente intensità e affronta le difficoltà della parte con una sicurezza che è frutto evidente di una preparazione seria e scrupolosa. Anche nel suo caso l’entusiasmo del pubblico lo premia dopo la sua Aria e al termine dell’opera. Juan Diego Flórez, come Oreste, ha bisogno di un po’ di accorgimenti e attenzioni per adattare la sua delicata vocalità all’aspro e drammatico declamato della parte (soprattutto nel Finale II), peraltro riuscendoci con furbizia, impegno e la consueta consapevolezza stilistica e rossiniana che da decenni lo rende interprete privilegiato della musica del pesarese: non sarà questo il suo ruolo più riuscito ma si ammirano il professionismo e l’intensità dell’interprete oltre che la freschezza del timbro del cantante, giunto quasi al traguardo dei 30 anni di carriera. Bene l’Andromaca giustamente dolente di Victoria Yarovaya e, tra i ruoli minori, si sono distinti tanto il Pilade di Antonio Mandrillo che il Fenicio insinuante e scenicamente impegnatissimo di Michael Mofidian. La direzione di Michele Mariotti, tra le sue migliori se non la migliore in assoluto, ha contribuito all’ottima resa complessiva: drammatica e incandescente, ha serrato le fila della narrazione in un’unica colata lavica di grande intensità, scegliendo tempi e sonorità in grado sia di valorizzare il cast a disposizione che di impostare un arco narrativo di forza notevole, in questo coadiuvato da un’Orchestra Rai in grande serata e da un ottimo Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno (presente anche in Bianca e Falliero); peccato per un minuscolo e inspiegabile taglio di una manciata di battute nel furibondo duetto del Finale II. Lo spettacolo di Johannes Erath non ha né rovinato la festa né, però, rivelato chi sa quali nuove prospettive drammaturgiche: scegliendo un’estetica noir e punk (peraltro particolarmente adatta a esaltare il fascino fisico degli interpreti, in particolare Scala e la Bartoli, quest’ultima affascinante come cupa dark lady) ha ambientato l’opera in una reggia carica di vizi e perversioni, con soluzioni di notevole presa visiva realizzate, peraltro, in maniera tecnicamente inappuntabile; lo spunto costituito dalla presenza costante di servi e confidenti intriganti non è però sembrato sviluppato a dovere e il Finale II è parso sostanzialmente un po’ irrisolto, ma si tratta di peccati veniali, dato che la tinta cupa e grottesca impressa alla vicenda si sposava bene sia con la direzione di Mariotti che con la fisicità degli interpreti. Del trionfo finale si è detto e, mentre l’edizione 2024 prosegue con la ripresa del Barbiere di Siviglia targato Pizzi e un conclusivo Viaggio a Reims in forma di concerto (presente all’appello anche quello, ormai tradizionale, con la regia di Sagi e i giovani dell’Accademia Rossiniana, oltre a vari appuntamenti concertistici tra cui le esecuzioni de Il vero omaggio e della giovanile Messa di Ravenna) sono stati annunciati i tre titoli previsti per il 2025 dal 10 al 22 agosto: nuova produzione di Zelmira, diretta da Giacomo Sagripanti con regia di Calixto Bieito, al suo debutto pesarese; nuova produzione de L’Italiana in Algeri, diretta da Dmitry Korchak con regia di Rosetta Cucchi e ripresa de Il Turco in Italia con regia di Davide Livermore (già vista nel 2016) e direzione di Diego Ceretta, al debutto operistico a Pesaro.
Gabriele Cesaretti