PUCCINI Il trittico – Il tabarro R. Frontali, S. Simoncini, A. Vestri, E. Stikhina, R. Covatta, G. Montresor Suor Angelica E. Stikhina, A.M. Chiuri, A. Vestri, L. Drei, M. Bacelli, T. Van Ingelgem Gianni Schicchi R. Frontali, L. Drei, E. Zilio, M. Mezzaro, R. Covatta, I. Bogdanova, G. Montresor, T. Zimmerman; Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Regio di Torino, direttore Pinchas Steinberg regia Tobias Kratzer scene e costumi Rainer Sellmaier
Torino, Teatro Regio, 23 giugno 2024
Solo un teatro in ottima salute può decidere di presentare il Trittico pucciniano, per l’impegno organizzativo ed economico che esso comporta: tale è il Regio torinese, che Matthieu Jouvin (intervistato da Giorgio Rampone nel numero di giugno di MUSICA) sta conducendo con una linea chiara e con progetti molto interessanti (come le tre Manon del prossimo autunno: Puccini, Massenet e Auber). Questo Trittico viene posto a conclusione di una stagione intensamente pucciniana ed è allestito in coproduzione con la Monnaie di Bruxelles, dove è stato presentato qualche anno fa: ed è un esempio eccellente di teatro moderno, intelligente ma rispettoso della drammaturgia dell’opera (o delle opere, a seconda di come consideriamo il capolavoro pucciniano). Tobias Kratzer, che molti appassionati conoscono per un esaltante ma radicale Tannhäuser a Bayreuth, decide di stringere i legami fra le tre opere, creando un sistema di connessioni interne. Il tabarro è visualizzato come una graphic novel alla Frank Miller (Sin City il chiaro riferimento), in una scena divisa in quattro grandi parti, tra dentro e fuori, sopra e sotto, che consente “la creazione di scene simultanee e lo spostamento dell’attenzione dell’ipnotizzante storia del crimine ai complessi dettagli psicologici” (Kratzer): nella cabina di Michele c’è una televisione che trasmette (lo vediamo anche noi spettatori con uno schermo a lato del palco) un reality show, che sarà poi la storia di Buoso Donati (e le voci dei due innamorati del Tabarro sono, capiremo in seguito, Lauretta e Rinuccio). La truce storia della prima opera finisce in un fumetto che è l’oggetto proibito delle suore più giovani nel convento di Suor Angelica, opera trattata come un film in stile nouvelle vague, diviso in sette capitoli, mentre Gianni Schicchi si apre con una pantomima che vede Buoso Donati ascoltare un vinile con il finale dell’opera precedente e, forse spinto da emozione mistica, cambiare il testamento (a favore dei frati, come sappiamo) e mettere il foglio proprio nella busta che contiene il disco. La terza opera, infine, è ambientata in uno studio televisivo, con tanto di tribuna che ospita spettatori veri guidati da due “scalda pubblico”, e i personaggi dell’opera che con questi spettatori interagiscono di quando in quando. Ma oltre all’impianto complessivo, è la gestione dei dettagli a convincere: l’atmosfera cupa, opprimente del Tabarro è resa benissimo anche con dettagli di grande teatro, fino a quel momento finale in cui Michele, dopo avere mostrato a Giorgetta il cadavere dell’amante, le pone il suddetto tabarro sulle spalle non con violenza ma con cura quasi affettuosa; in Suor Angelica l’indagare nella psicologia delle suore, come già Puccini fa (almeno nella parte iniziale) ma con le possibilità conferite dai video che esplorano il “prima” e il “dopo”, senza eccessivi intellettualismi, è qualcosa di molto stimolante, e l’incendio finale del convento, che ci permette di identificare il “miracolo” come una sorta di allucinazione da fumi, è una soluzione semplice e intensa. E in Gianni Schicchi, infine, la cura della recitazione, la vis comica sottile e pungente, quel macabro ridere sulla morte sono costantemente tenuti vivi, anche grazie ad una compagnia di cantanti-attori di primo livello. E grazie a Pinchas Steinberg, che nelle tre opere punta sempre ad un’estrema leggibilità del discorso orchestrale, con tempi piuttosto comodi e senza eccessi fonici: una concertazione di grande intelligenza, lontana da facili effettismi e sempre attenta alle esigenze dei cantanti.
Nei tre, foltissimi cast giganteggia Roberto Frontali, che sembra avere scoperto l’elisir di giovinezza, tanto salda, timbrata e imperfettibile è la linea vocale del suo Michele, che sale a sol acuti di insolente squillo: ma ad affascinare è poi la cura dei dettagli, il fraseggio tanto personale quanto diretto, che compongono un personaggio davvero a tutto tondo. Samuele Simoncini viene a capo con onore della spinosa parte di Luigi, ma talora tradisce il fatto che quella di lirico spinto non sembra essere la sua vera natura, mentre Elena Stikhina è semplicemente impresentabile come Giorgetta, passando ella sopra i mille colori e umori di questo affascinante personaggio con una indifferenza agghiacciante (e il canto è solo discreto). Stupisce, quindi, la sua metamorfosi in Angelica: non bisogna gridare al miracolo, ma qui ascoltiamo un’artista coinvolta, partecipe e certamente coinvolgente nel grande finale. Forse le converrebbe concentrarsi solo su questo personaggio. Molto professionale la Principessa di Anna Maria Chiuri, nonostante una vocalità che accusa gli evidenti segni dell’età, e quasi perfetto lo stuolo delle suorine, con il lusso di Monica Bacelli (Badessa) e la vetta della incantevole Lucrezia Drei (Suor Genovieffa), che ritroviamo come Lauretta di giusta fragranza giovanile: finalmente un “Babbino caro” che suona tenero e affettuoso e non assurdamente patetico! Nell’ultima opera del Trittico Frontali è ancora uno Schicchi di riferimento (la sua partecipazione al film di Michieletto ce ne ha fatto apprezzare la bravura: ma qui riesce a superarsi e a dare un taglio diverso al suo personaggio), Elena Zilio parla con piacevole rotondità e Matteo Mezzaro è un gradevole Rinuccio. Ma più che mai vale la vecchia conclusione delle recensioni: bravi tutti. Un Trittico assolutamente da vedere (chi può, lo faccia: ci sono recite fino al 4 luglio) e da ascoltare.
Nicola Cattò
Foto: Daniele Ratti