Postignano Music Festival: “Modernità barocca” Musiche di Matteis, Mangano, Tartini, Nardini, Berio violino Grazia Raimondi
Postignano (PG), Chiesa della SS. Annunziata, 1° ottobre 2024
Quello del castello di Postignano, in provincia di Perugia ma non lontano dalla martoriata Norcia e dalla blasonata Spoleto, sembra essere uno degli esempi migliori di restauro conservativo di un borgo medioevale (XI-XII sec.), cresciuto intorno alla torre di avvistamento, ma solo da pochi anni, dopo i terremoti del 1997 e del 2017, rinato alla vita grazie alla visionaria determinazione dell’imprenditore partenopeo Gennaro Matacena e del suo staff di architetti. Un borgo fortificato, adagiato su un costone di roccia e circondato da montagne verdi che offrono alla vista panorami mozzafiato. È quiche il violoncellista ceciliano e direttore d’orchestra Luigi Piovano da quest’anno ha organizzato un Festival musicale nuovo di zecca coinvolgendo artisti di fama come il pianista Maurizio Baglini, il flautista Massimo Mercelli o il contrabbassista Massimo Moriconi, insieme alle istituzioni musicali locali come il Conservatorio Morlacchi di Perugia e l’Orchestra della FORM. Una intensa settimana all’inizio di ottobre che si è aperta con la pluripremiata violinista Grazia Raimondi nel segno del barocco, senza dimenticare però il contemporaneo. Significativo il titolo del concerto, illustrato da Carlo Cavalletti, “Modernità barocca”, anche ad indicare l’ampio spettro degli interessi musicali della neonata rassegna umbra.
Ad inaugurare infatti al fianco di due grandi virtuosi dell’archetto come l’istriano Tartini (Sonata XIII in re maggiore) e il livornese Pietro Nardini (tre Capricci) per non dire del semisconosciuto napoletano Nicola Matteis, si ascoltano la Sequenza VIII di Berio e una composizione (Scisma) del giovane Gabriele Mangano, vincitore del concorso bandito dal Festival e rivolto agli allievi di composizione del Conservatorio perugino.
Con impressionante sicurezza, nella chiesa della SS. Annunziata, in cui il terremoto ha rivelato la presenza di una prezioso affresco della Crocefissione, la virtuosa Grazia Raimondi ha messo significativamente a confronto, sulla falsariga solo delle quattro corde del suo prezioso Giuseppe Gagliano del 1783, passato e presente, antico e contemporaneo in una sperimentazione dello strumento di cui si è dimostrata la virtuosità senza ricorrere al pur sottaciuto Paganini (il cui spirito aleggiava però inevitabilmente nell’aula). Il fil rouge del viaggio era pur sempre l’estro che trasforma il violino da strumento monodico a polifonico sicché alle Ayres di Mattei, attivo in Inghilterra, fanno da sponda meravigliosamente i ghiribizzi di Tartini e Nardini (Capricci di nome e di fatto), mentre una sorpresa era Scisma di Gabriele Mangano, che fa dialogare quasi due registri estremi del violino in un colloquio che sembra inasprirsi sin da motivare il divisivo titolo. Se Matteis rivela una scrittura sorprendentemente fantasiosa, umorale ed in Tartini le volute barocche si fanno incandescenti con affetti mutevoli che si chiudono con gli accenti di una scivolosa ed estrosa Giga, l’estro non certo mancava nel “capriccioso” Nardini, che alza l’asticella delle difficoltà tecniche ed esplora il registro acuto con folate sonore e arpeggi: pressoché uno studio da concerto. Un estro quasi diabolico che sembra precorrere il mattatore Paganini, che di climi sulfurei ben se ne intendeva.
Chiusura in bellezza con la complessa ed impervia, umorale e chiaroscurata Sequenza VIII (1976) di Berio, che mette a dura prova le doti interpretative di qualsiasi esecutore e scandaglia tutte le modalità emissive dello strumento partendo dalla cellula germinale di una seconda maggiore ed allargandosi ad esplorare l’intera gamma del violino. Una prova di bravura per la Raimondi, che la pennelleggia con sicurezza e prestanza, per concedere infine al pubblico due bis con pagine rassicuranti e non fuligginose di Telemann. Calorosi e unanimi consensi per un concerto singolare in un luogo singolare.
Lorenzo Tozzi