ROSSINI Il Barbiere di Siviglia, M. Cavalletti, P. Adaini, G. Romeo, T. Iervolino, G. Andguladze, P. Tzoneva; Orchestra Filarmonica Salernitana “Giuseppe Verdi”, Coro del Teatro dell’Opera di Salerno, direttore Antonello Allemandi regia Michele Sorrentino Mangini scene Flavio Arbetti costumi Giusi Giustino
Salerno, Teatro Municipale “Giuseppe Verdi”, 9 dicembre 2018
C’era qualcosa di candidamente accattivante in questa produzione de Il Barbiere di Siviglia del Teatro Verdi di Salerno. Il regista Michele Sorrentino Mangini ha puntato tutto sull’aspetto ludico, sugli effetti umoristici, facendoci entrare senza sforzo nel clima giocoso da lui creato, anche grazie ad un cast eccellente, con il quale ha finalmente restituito attrattiva e fascino ad alcuni dei personaggi più noti e visti della storia dell’opera.
Si è trattato di una messinscena brillante, a tratti spassosa, del capolavoro comico di Rossini, in un’esplosione di lazzi, frizzi, equivoci e smascheramenti, e di tutto quanto è necessario per il perfetto funzionamento dei meccanismi comici di quella che è l’opera buffa per eccellenza. Una regia che èstata una lezione su come si può far divertire il pubblico con il Barbiere ancora dopo duecento anni e migliaia di allestimenti, mantenendo una scansione ritmica perfettamente aderente alla partitura ed al libretto e congegnando invenzioni sceniche che nella loro apparente semplicità funzionano perfettamente.
La scena di Flavio Arbetti mostrava la casa di don Bartolo fatta di sbarre, con chiara allusione alla prigione domestica in cui Rosina lamenta di essere reclusa. Un ambiente tutto bianco che richiamavavagamente l’Andalusia, con pochissimi oggetti di scena, e un albero di arancio di lato; a questo si aggiungevano i bei costumi di Giusi Giustino, che inserivano perfettamente l’azione nell’epoca originale del libretto.
I protagonisti hanno mostrato grande bravura vocale e dinamismo scenico, riuscendo a catturare perfettamente lo spirito della musica. Teresa Iervolino è stata una Rosina graziosa e vivace. L’ampia estensione di cui dispone le permette di sottolineare il timbro contraltile, dal suono scuro e ricco nel registro basso, ma anche note acute piene e nitide; piacevole da ascoltare in “Una voce poco fa”, bella e divertente anche daguardare nei duetti e terzetti con i co-protagonisti. La sua coloratura era sempre sicura, agile e precisa.
Ad animarela vicenda c’era Figaro, interpretato con grande fascino dal baritono Massimo Cavalletti, che ha cantato alcuni dei passaggi più virtuosistici con grande bravura, in particolare l’entrata “Largo al factotum”, che è stata molto apprezzata dal pubblico. Cavalletti possiede tutto ciò di cui ha bisogno il personaggio: una presenza aitante, una robusta voce da baritono buffo e il brio giusto come attore.
Pietro Adaini, il Conte di Almaviva, è un tenore di coloratura, dal timbro piacevole, dal volume non eccelso ma in possesso di una voce agile e chiara e una buona duttilità nei passaggidi registro.
George Andguladze ha cantato “La calunnia” con tutte le note a posto, ed un che di tenebroso nel colore. Il basso ha disegnato un Don Basilio un po’ tontolone, poco sciolto nella recitazione e anche dal punto di vista vocale.
La palma del migliore della serata va certamente all’irascibile Don Bartolo di Giovanni Romeo, spassoso sia da vedere che da ascoltare; una voce baritonale rotonda, squillante e armonicamente sempre in asse. Ed è anche un grande talento comico che ha suscitato molte risate in sala; la sua totale padronanza del palco e dell’azione rendeva difficile distogliere lo sguardo da lui, anche quando la scena principale era riservata a qualche altro protagonista.
Petya Tzoneva, nei panni della governante Berta, ci ha consegnato una dignitosa prova della sua professionalità con “Il vecchiotto cerca moglie”, l’aria di sorbetto più famosa della storia del melodramma. Nella scena d’apertura, Luigi Cirillo ci ha offerto un Fiorello un po’ incolore ma corretto, mentre Ambrogio è stato interpretato da un guizzante, impertinente, bravissimo Umberto Salvato.
Il direttore Antonello Allemandi ha diretto l’orchestra e il coro del Teatro Verdi con arguzia tutta rossiniana; si vedeva che si divertiva, e insieme a lui si divertivano i cantanti e i musicisti. Non ha mai perso di vista la continuità ritmica e i tempi comici sulla scena e, mantenendo sempre un ritmo serrato (mai però spingendo troppo) incoraggiava via via le diverse sezioni orchestrali ad iniettare robuste dosi di energia e dinamismo sulla scena. Teatro pieno, tanti e meritati gli applausi finali.
Lorenzo Fiorito