Il Bruckner d’acciaio di Kirill Petrenko

BRUCKNER Sinfonia n.° 5 in si bemolle maggiore Gustav Mahler Jugendorchester, direttore Kirill Petrenko

Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, 3 giugno 2024

La Quinta Sinfonia irrompe nel catalogo sinfonico bruckneriano con violenza e imprevedibilità.  Dopo la Quarta, la “Romantica”, al fondo, con le sue evocazioni cavalleresche e naturalistiche, la più serena tra le nove sorelle, la Sinfonia in si bemolle maggiore (detta anche “Tragica”) s’afferma sin dalle prime battute come una delle più complesse e tormentate del maestro di Ansfelden. E proprio da quell’Introduktion-Adagio (unica negli schemi formali di Bruckner) che poi s’apre in un Allegro tempestoso, pieno di contraddizioni e dubbi, forse delirante, ma traboccante di un’umanità che nel canto degli archi s’effonde in plenitudo cordis. E l’Adagio, in quell’amata forma di Lied dalla quale non si può sradicare la matrice d’intima vocalità. Lo Scherzo, poi, più che il combattimento con le forze oscure del sottoterra, appare un grumo di paure e di presagi. Lo sterminato Finale. Adagio-Allegro moderato, da ultimo, si apre con la stessa introduzione lenta del primo movimento, interrotta però da un breve motivo del primo clarinetto. Tornano, come nella Nona di Beethoven, i temi principali del primo e del secondo movimento, poi comincia l’esposizione vera e propria: gli archi riprendono il motivo del clarinetto e lo adoperano come soggetto di una fuga: non l’unica e non ignara dell’op. 133 e del fugato di Die Weihe des Hauses di Beethoven. Alla fine dell’esposizione gli ottoni intonano un maestoso corale, assai simile all’Amen di Dresda, anch’esso sviluppato in una fuga. La sinfonia s’avvia al termine con un’apoteosi fondata sul tema del primo movimento, ove sembrano avvinghiarsi in una sola carne il classicismo e il barocco, con termini ed esiti mai sinora raggiunti nel mondo della sinfonia ottocentesca.

Ora di tutto questo – e non è certo bazzecola – assai poco abbiamo ritrovato nella Gustav Mahler Jugendorchester e in Kirill Petrenko. L’orchestra, per carità, era impeccabile, anzi un orologio di precisione: ma il suono morbido, trasparente, prezioso dei tempi di Abbado è non più di un ricordo: sostituito ora da una durezza, da una meccanicità, da una mancanza di vibrazioni del tutto aliene da quello che dev’essere comunque il “suono di Bruckner” e di cui Bychkov con quelli di Santa Cecilia ci aveva dato la settimana scorsa impeccabile misura. Petrenko – con buona pace d’altri critici (vedi qui la recensione del concerto a Pordenone) e di rispettabili suoi ammiratori – di Bruckner, delle sue notti oscure dell’anima e dei suoi aneliti paradisiaci, nulla ha compreso e nulla ha reso. Veloce, sommario, pedestre, robotico, mai cantabile, recalcitrante ad ogni richiamo al divino (non c’è un Bruckner senza Dio, come un Bach, come un Palestrina), inteso solo a decriptare la struttura e non la spiritualità, la mirabilissima forma, ma non i contenuti, la potenza, ma non la tenerezza. Sì che tal sua Quinta Sinfonia frastuonante, implacabile, senza respiro e consistenza umane, ricordava (s’è detto da alcuni) Prokofiev o Shostakovich, più che l’organista di Linz, l’autore più sacro di tutto l’Ottocento austro-tedesco. Noi, certo più cattivi degli altri, abbiamo pensato ad un brano oggi dimenticato, ma un tempo emblematico: Fonderia d’acciaio di Aleksandr Vasil’evič Mosolov, grato all’oltrecortina di prima del 1989. Applausi a volontà: ma siamo sempre più convinti che oggi tanto più si suona forte, tanto più si è acclamati.

Postilla: nella nuova stagione ceciliana 2024-2025 per trovare un altro Bruckner bisognerà aspettare maggio e una Nona Sinfonia diretta da Daniele Gatti. Ma non era l’anno bruckneriano?

Maurizio Modugno

Data di pubblicazione: 4 Giugno 2024

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