BRUCKNER Sinfonia n. 7 in Mi maggiore Gustav Mahler Jugendorchester, direttore Jukka-Pekka Saraste
Pordenone, Teatro Verdi, 2 settembre 2022
Dopo una serie di importanti concerti in alcuni centri del Friuli Venezia Giulia, la Gustav Mahler Jugendorchester (che, ricordiamo, venne fondata nel 1986-87 da Claudio Abbado) è approdata al Teatro Verdi di Pordenone con un programma non poco grandioso, incentrato sulla Settima Sinfonia di Anton Bruckner (1824-1896), sotto la direzione del finlandese Jukka-Pekka Saraste (di recente nominato direttore principale e direttore artistico dell’Orchestra Filarmonica di Helsinki), valente interprete del repertorio tardo-romantico, oltre ad essere apprezzato, in particolare, per le sue interpretazioni mahleriane.
La Settima di Bruckner venne ultimata tra il 1881 e il 1883, anno, quest’ultimo della morte di Wagner, un evento cui l’autore si ispirò per il secondo movimento, il celeberrimo Adagio in Do diesis minore (in realtà la partitura reca l’indicazione Andante. Sehr feierlich und sehr langsam), autentico culmine artistico e centro spirituale dell’intera Sinfonia (che sarà pubblicata nel 1885 con la dedica a Ludwig II di Baviera), anche se altrettanto coinvolgente risulta lo slancio e il fervore melodico dell’iniziale Allegro moderato (non a caso i due movimenti furono scelti da Luchino Visconti per la colonna sonora del film Senso, suo capolavoro e splendida trasfigurazione del declino, anzi della décadence,di un’intera civiltà). Ben altrimenti problematiche in questo affresco musicale la brevità e l’eterogeneità del Finale, anche in relazione all’ampiezza, alla scioltezza, ai contrasti di tutti gli altri movimenti, Scherzo compreso. Come è noto la Sinfonia richiede un organico imponente, soprattutto per quanto riguarda le diverse sezioni dei fiati (quattro corni, tre trombe, tre tromboni, quattro tube e una tuba contrabbasso, oltre ai legni consueti), messe indubbiamente a dura prova nel corso dell’intero lavoro, ma chiamate anche a tradurre le suggestive atmosfere dell’Adagio, con le sue tinte brunite e la sua atmosfera tesa tra intima commozione e toccante lamento funebre.
Sotto l’accorta guida di Saraste, questo complesso edificio è stato delineato dalla giovane compagine con la dovuta compattezza e con ammirevole coesione, mettendo in pieno risalto la non comune varietà dei contrasti dinamici ed agogici insieme alla densissima tavolozza prevista dall’autore: di qui un suono caldo ed avvolgente, unito ad un adeguato fervore e ad una personale partecipazione nei passaggi più intensamente espressivi (fin dall’incipit del primo movimento con il tema sinuoso dei violoncelli e delle viole, sorretto dal fruscio dei tremoli dei violini, poi riesposto da quest’ultimi, dai flauti e dai clarinetti), culminando nell’Adagio, introdotto dalle cupe sonorità delle tube, delle viole, dei violoncelli e dei contrabbassi (in netto contrasto con il cullante, ma pur sempre struggente, secondo tema). In ogni caso il direttore ha optato per una condotta globale non poco vibrante e vitalistica, tesa a porre in piena evidenza la straordinaria densità e ricchezza della partitura, con la sua sorprendente giustapposizione di masse sonore, senza per questo rinunciare ad una sottile gamma di sfumature dinamiche, tese tra i pianissimi quasi impercettibili e i fortissimi più deflagranti: scelte che hanno trovato nella gigantesca formazione una puntuale rispondenza, indicativa della non comune preparazione dei giovani strumentisti, tra i quali è doveroso menzionare quelli impegnati con gli ottoni (con tube e tromboni davvero impeccabili). Non meno interessante la resa sottilmente insinuante e demoniaca dello Scherzo, con il misterioso assolo della tromba, sorretto dall’inquieto pianissimo degli archi, mentre il Trio, avviato, pure in pianissimo,dai timpani, e risultato pervaso da una Stimmung pastorale non poco evocativa. Giustamente nel Finale ha dominato la ricorrente contrapposizione tra le fanfare degli ottoni e gli abbandoni lirici, dando vita ad una efficace alternanza di pieni e di vuoti, di imperiosi gesti assertivi (scanditi dai ritmi puntati) e da indugi spesso repentini ed imprevedibili. Una condotta, in definitiva, pienamente convincente, se non entusiasmante, accolta dal pubblico numerosissimo con autentiche acclamazioni e ripetute richieste di bis, purtroppo non concessi.
Claudio Bolzan