GOUNOD Faust I. Ayon Rivas, A. Esposito, C. Remigio, A. Noguera, W. Corrò, P. Giardina, J. Mellor; Orchestra e coro del Teatro La Fenice, direttore Frédéric Chaslin regia, scene e costumi Joan Anton Rechi
Venezia, Teatro La Fenice, 25 giugno 2021
Dopo otto mesi di chiusura forzata, la Fenice è ancora una volta risorta. Dopo duecentocinquanta giorni di sospensione dell’attività lirica e di concerti trasmessi in streaming, il Teatro veneziano riapre con il Faust di Charles Gounodin un nuovo allestimento con la regia, le scene e i costumi di Joan Anton Rechi e la direzione musicale di Frédéric Chaplin. Quello che avrebbe dovuto andare in scena lo scorso anno, congelato per oltre un anno dal disastro della pandemia: una grande emozione rientrare a teatro, affollato da poco più di duecento spettatori, quanti consentiti dalle norme per la riapertura. Tutti collocati nei palchetti, in galleria e in loggione. Le poltroncine della platea rimosse a creare uno spazio scenico raddoppiato, con la parte più «terrena» della storia agita in platea, mentre la parte più trascendente sul palcoscenico. In mezzo l’orchestra, schierata diagonalmente con il direttore collocato in angolo in modo da poter controllare entrambi gli spazi scenici.
Rechi, autore anche dei costumi e degli elementi scenici, colloca in platea una doppia infilata di panche da chiesa, immaginando che in questa sorta di cattedrale si trovino riuniti i protagonisti della storia, compreso il vero deus ex machina, Méphistophélès. È in questo luogo sacro che Faust stringe il patto con il demonio, cedendogli l’anima per l’eternità in cambio della giovinezza. Qui che si celebrano le nozze di due giovani sposi, che poi attaccano una danza elegante, il celebre Valzer, mentre lo spazio si trasforma in una rilucente sala da ballo, con il pavimento a specchio che riverbera la luce, proietta bagliori in tutto il teatro, grazie alle spettacolari luci di Alberto Rodriguez Vega. Il ballo, deliziosamente danzato da due eccellenti ballerini (Giulia Mostacchi e Gianluca D’Aniello), richiama idealmente la celebre scena de Il Gattopardo di Visconti.
Non tutto è riuscito, in primis il fraintendimento del coro dei soldati che tornano dalla guerra («Gloire immortelle») trattato come un momento comico, con Siébel intento a fotografare gli scompostissimi soldati avvinazzati. Oppure l’eccesso di violenza con cui recita (e canta) Valentin, fratello di Marguerite. A lui tocca anche rimuovere dalla chiesa, trascinandolo per i piedi, il corpo senza vita della sorella: una scena di dubbio gusto. Come troppo consunta l’idea di macchiare di sangue la veste candida di Marguerite, come fosse una novella Lucia. Anche la scena della notte di Valpurga, nella quale ci si aspetterebbe il prevalere dell’elemento fantastico, appare mite e elegante, lontana mille miglia dalle deliranti accensioni che, per esempio, Berlioz aveva saputo scatenare nelle sue pagine faustiane.
La parte musicale offre un’ottima prova. A cominciare dal direttore, l’esperto Frédéric Chaslin, grande conoscitore del repertorio operistico francese, che opta per un suono denso e corposo, per arcate vibranti, rifuggendo la ricerca ostentata di finezze, preferendo semmai un vigoroso taglio drammatico. L’orchestra, non del tutto al meglio, lo asseconda, ma senza trovare la quadra necessaria, in termini di continuità di suono e compattezza, per questo repertorio.
A suo agio nella difficile parte protagonistica il tenore peruviano Iván Ayón Rivas, voce estesa e sicura negli acuti, dal fraseggio perfettibile ma sempre interessante. La non felice presenza scenica ne limita un po’ la credibilità, ma la sua resta pur sempre una buona riuscita, cui manca, per essere ricordata, quel rovello interiore e quell’insicurezza psicologica che caratterizzano il personaggio di Faust. Accanto a lui la Marguerite di Carmela Remigio, artista intelligente che, grazie al colore denso e alla ricchezza degli armonici della sua voce, tratteggia una figura dalla partecipe femminilità, appassionata e commovente nei momenti più lirici della sua parte. Recita con convinzione, mostrandosi artista matura e questa volta più nella parte rispetto ad altre prove, anche recenti.
Pienamente dentro la parte e attore consumatissimo, Alex Esposito è forse il Méphistophélès di riferimento, certo tra i maggiori di oggi per consapevolezza e disinvoltura scenica, sicurezza vocale e timbro pieno, per quanto non debordante. Ruba in scena l’attenzione del pubblico a scapito degli altri interpreti, tale è il magnetismo che sprigiona.
La parte di Valentin era affidata al baritono francese, di origine argentina, Armando Noguera, che tratteggia una figura irrequieta, introversa e a tratti rabbiosa, «sporcando» l’emissione e forzando in più punti la linea vocale. Peccato perché la presenza scenica è notevole e anche il materiale vocale, che va gestito con maggior attenzione. Successo caloroso per tutti, gioia incontenibile e tanta emozione tra i cantanti e i musicisti per essere finalmente ritornati ad esibirsi davanti al pubblico.
Stefano Pagliantini
Foto: Michele Crosera