MOZART Concerto per pianoforte e orchestra n. 20 in re minore K 466; Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore K 543 SCHUMANN Concerto per pianoforte e orchestra op. 54 in la minore Camerata Salzburg pianoforte Hélène Grimaud Konzertmeister Giovanni Guzzo
Torino, Auditorium del Lingotto, 28 febbraio 2023.
Seguita da Giovanni Guzzo (giovane ma autorevole Konzertmeister italo-venezuelano alla guida della Camerata Salzburg), Hélène Grimaud compare sulla scena con viso rilassato, affabile, disinvolto, posato. Passano appena pochi istanti perché il Concerto per pianoforte e orchestra in re minore, una delle pagine più celebri e celebrate del Mozart per strumento a tastiera, infranga il (quasi) silenzio del pubblico con l’esposizione del primo tema, proposto con una varietà di dinamiche straordinariamente efficaci. Tutto questo mentre la pianista francese regola meglio il proprio sgabello, concentratissima su quanto sta avvenendo intorno a lei. Dopodiché attacca quel tema così denso di patetismo e che tanti studiosi hanno interpretato come tappa decisiva verso quello che sarà il concerto romantico.
Sin dai primi istanti appare chiaro che si assisterà a un concerto dalla qualità assai elevata: la Camerata Salzburg, che ha recentemente compiuto settant’anni, è (lo dico senza tema di smentita) una delle migliori compagini in circolazione per questo tipo di repertorio, vera ambasciatrice dello stile classico (e salisburghese) nel mondo. Per quanto riguarda la Grimaud, che complessivamente si muove in buona armonia con l’orchestra, ritengo sia una delle pianiste maggiormente in grado di cogliere e restituire a beneficio del pubblico le innumerevoli situazioni emotive che Mozart eternò su carta. E questo non vale solo con Mozart: su YouTube si possono facilmente reperire innumerevoli video dell’artista di Aix-en-Provence, tra cui ad esempio una oramai datata e piuttosto celebre esecuzione della Ciaccona in re minore di Bach-Busoni: ebbene, trovare esecuzioni che sul piano tecnico-meccanico siano più solide, più funamboliche e forse – almeno in certi frangenti – anche più fluide, non è difficile; ma trovarne di altrettanto superbamente musicali e allo stesso tempo capaci di cogliere così bene lo spirito della composizione e forse anche del compositore, è invece difficilissimo; ecco, questo è il discorso che potrebbe farsi, nel complesso, anche per il suo Mozart: qualche falla digitale, da cui la chiarezza o meno di certi passaggi, non sarebbe difficile indicarla, senza nemmeno scomodarsi a indossare le vesti del gesuita controriformista a caccia di errori; ma raramente abbiamo rinvenuto lo spirito di Mozart così spesso e in maniera tanto viva nel corso di una sola serata.
Concerto anticipatore – lo si è ricordato – quello in re minore che ha aperto la serata, al punto che l’appaiamento con il Concerto in la minore op. 54 di Schumann è perfettamente logico e credibile, su un piano storico ed estetico; così come, incastonata tra i due concerti, valida è la scelta della mozartiana Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore, pure questa densa di elementi proiettati verso l’avvenire, sebbene in uno schema ancora essenzialmente classico, anche secondo strutture haydiniane. Forse la Grimaud nel Concerto di Schumann ha dato prova ancora migliore. Il Concerto in la minore è ornato di una ricchezza talvolta persino strabordante, percorso da linguaggi e atmosfere che sembrano appartenere a diverse epoche (il tema inaugurale affidato all’oboe e ai fagotti, subito ribadito dal pianoforte, potrebbe essere stato scritto nel secolo XX, oppure si pensi alla di poco successiva progressione, che sembra prefigurare lo spirito di Rachmaninov, senza scordare gli elementi neoclassici presenti); caratteri, questi, che offrono all’artista francese occasione di sferrare i suoi colpi migliori, che non sono certo (pur non ne essendone priva, intendiamoci) gli atletismi e i funambolismi di alcune sue colleghe e di alcuni suoi colleghi; piuttosto è la capacità di soppesare ogni suono e ogni nota, di mettere in mostra una musicalità sorprendente lasciandosi andare in meravigliosi voli, temperando possibili eccessi e ridondanze. E questa orchestra così mozartiana, così salisburghese, come si comporta con la scrittura di Schumann? Si comporta mutando colore con flessibile, invidiabile destrezza. In definitiva, una serata ad elevato contenuto musicale, tecnico, culturale ed emozionale. Soltanto un dubbio, che riguarda il finale e che tocca un tema delicato.
Al posto del bis di rito da parte della pianista, si è stabilito che venisse eseguito un breve brano come auspicio per la pace (il riferimento è naturalmente al conflitto ucraino, che purtroppo infiamma oramai da troppo tempo). Così Guzzo, rivolgendosi al pubblico dell’Auditorium, ha annunciato che la Grimaud e la Camerata avrebbero eseguito un brano del compositore ucraino Valentyn Silvestrov. Bene, bellissimo. Mi chiedo tuttavia, e chiedo ai lettori: non sarebbe stato ancora più significativo, nonché dall’ancor più marcato valore simbolico, eseguire anche un breve brano di un compositore russo, non certo, attenzione, per ragioni attinenti a una qualche improbabile equiparazione che rimanda al conflitto in sé, ma in modo che davvero l’invocata speranza di pace potesse materializzarsi (per quanto idealmente) sulle note di entrambi i popoli, insieme sullo stesso palco? Non sarebbe stato bellissimo e di altissimo valore umano e simbolico che il pubblico dell’Auditorium del Lingotto assistesse, insieme sullo stesso palco, insisto, a una rappresentazione che avrebbe posto accanto la cultura (e quindi, i popoli) di Russia e Ucraina?
Marco Testa