WEBER Ouverture da Der Freischütz DVOŘÁK Sinfonia n. 9 in re op. 95 «Dal Nuovo Mondo» Filarmonica della Scala, direttore Daniel Harding
Milano, Teatro alla Scala, 17 maggio 2021
Entri al Teatro alla Scala, riaperto da poco al pubblico, sali con una certa emozione fino alla prima Galleria, raggiungi il tuo posto e quando volgi lo sguardo in basso provi una sensazione di smarrimento, perché la platea è quasi interamente occupata da una grande pedana sulla quale si allunga l’orchestra. È la disposizione ormai abituale del Teatro milanese per i concerti sinfonici in tempi di Covid, sia con il pubblico sia senza pubblico, e lo smarrimento arriva anche all’ascolto. Almeno è stato così per noi al concerto della Filarmonica diretto da Daniel Harding, dedicato a una delle pagine più popolari del repertorio sinfonico tardoromantico, la Sinfonia n. 9 in re «Dal Nuovo Mondo» di Antonín Dvořák.
Come un’onda di marea l’orchestra si spinge ad occupare la platea in quasi tutta la sua lunghezza e proprio come un’onda di marea arriva il suono degli archi alle orecchie del pubblico, nei palchi e nelle gallerie. L’effetto è sorprendente, perché in platea l’orchestra risuona più di quanto avviene in condizioni normali, quando è collocata sul palcoscenico, e il suono è pastoso e caldo, una sorta di magma timbrico particolarmente efficace in una partitura dalle grandi campate melodiche come la Nona di Dvořák. È tutta un’altra cosa rispetto alla disposizione sperimentata alla Scala lo scorso autunno – abbiamo ascoltato un concerto con l’Orchestra Verdi, quando gli orchestrali erano distribuiti fino in fondo al palcoscenico con un inevitabile effetto di sfilacciamento timbrico e di impoverimento nel colore. Con l’orchestra in platea, invece, il suono arriva denso e soprattutto arriva subito, anche se il distanziamento d’obbligo imposto ai musicisti rende problematico l’amalgama, soprattutto tra archi e fiati. Il vero limite di questa curiosa disposizione è che l’orchestra è girata al contrario, con il direttore posto davanti al palcoscenico a guardare verso la platea gli orchestrali, che voltano quindi le spalle al pubblico. Per chi ha seguito il concerto in diretta streaming si è trattato di un problema relativo, visto che le telecamere riprendevano il direttore di spalle, come da tradizione, e i microfoni ovviavano agli squilibri timbrici. Per chi era in sala, invece, trovarsi seduti dietro l’orchestra quasi sopra gli ottoni ha comportato una percezione distorta degli equilibri, con gli ottoni e in generale i fiati che dirigevano il suono lontano dal pubblico.
Pazienza, in questi periodi si fa di necessità virtù ed è andata bene lo stesso, anche perché la Filarmonica della Scala ha suonato dignitosamente ed Harding ha diretto con molta professionalità, nel segno di un pregevole equilibrio emotivo. Lo si è avvertito bene nel cuore lirico della Sinfonia, il grande Largo dominato dall’indimenticabile tema del corno inglese, che nella direzione tranquilla di Harding risplendeva in tutta la sua quieta e malinconica bellezza, ancora più affascinante grazie a un ispiratissimo corno inglese solista. Nelle battute introduttive, purtroppo, l’amalgama tra archi e corni è stato penalizzato dal distanziamento, come è accaduto anche in tutto il primo movimento, però la buona prova dell’insieme e l’ottima prova dei fiati della Filarmonica – penso anche al primo flauto nel movimento conclusivo – hanno dato un senso a questa Nona. Harding ha diretto l’intera Sinfonia attenuando l’enfasi in favore del sentimento, cercando un fraseggio quieto e rallentando spesso per valorizzare il cantabile senza però perdere di vista la continuità del discorso.
Erano le stesse coordinate interpretative dell’ouverture del Freischütz di Carl Maria von Weber, presentata in apertura di serata. Non è stata un’ouverture memorabile per gli slanci emotivi e decisamente poco solfurea, però è stata tratteggiata con delicatezza nei profili melodici e si è rivelata efficace per l’incisività del ritmo.
Luca Segalla