LIGETI Kammerkonzert, Trio per corno, violino e pianoforte (II movimento), 2 Études per pianoforte: Arc-en-ciel (I,5) e Die Zauberlehrling (II, 10), Sonata per viola sola (II movimento);
LUKAS LIGETI Marimba Lumina, improvvisazione; Delta Space per pianoforte, Yamaha Disklavier ed electronics; Actaonella per flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte
NANCARROW Study n. 11 per pianoforte performer Lukas Ligeti FontanaMIX Ensemble, direttore Francesco La Licata
Exitime 2023 (Progetto “Officine S. Mattia”, III edizione), Bologna, ex-chiesa di S. Mattia, 9 maggio
Quest’anno ricorrono i cent’anni dalla nascita di György Ligeti ed al grande musicista è dedicato il focus di Exitime 2023, il cartellone annuale curato dal FontanaMIX Ensemble di Bologna, nella nuova e bellissima sede dell’ex-chiesa di S. Mattia, in emozionante connubio di antico e modernissimo. Significa non solo ammirare gli affreschi (o ciò che ne sopravvive) dell’antico tempio (una bella e quasi melodrammatica “annunciazione”) ‘feriti’ da suoni emblematici del nostro più recente, più caratterizzante e spiritualmente compenetrante passato o ancora della più vitale attualità. Vuol dire anche andare per ritrovare un musicista ammirato come György Ligeti e rinnovare con l’atto dell’ascolto l’ineguale passione che a lui ci lega (ineguale perché non posso dire di avere io dato a Ligeti quel che lui ha dato a me, a molti di noi: è il gioco inaggirabile di chi dona attraverso la sua arte e di chi, per quell’arte, ama) ed uscire pervasi dei suoni (e dei pensieri, delle rivoluzioni intellettuali che questi hanno provocato in noi) di Ligeti sì, ma Lukas, figlio di cotanto padre, dal padre diversissimo ed autonomo rispetto all’arte. Lukas è compositore e performer, scrittore di musica ed improvvisatore. Ad una mia domanda in tal senso – prima del concerto c’è stato un incontro pubblico col musicista, coordinato da Diego Tripodi, anima del collettivo In-nova fert, altra splendida (perché fertile, onorando il nome) realtà musicale della città felsinea –, se l’improvvisazione sopravvive all’istante (come sopravvivono molte serie di Variazioni di Mozart o di Beethoven, nate come improvvisazioni pubbliche e in séguito fissate su carta dagli stessi musicisti) o in quell’atto si risolva ed esaurisca, Lukas Ligeti ha risposto in modo inequivocabile: l’improvvisazione in lui resta, tanto che se dovesse ripeterla – mutato ciò che si deve, cambiando il luogo, lo spazio e la circostanza – la ripeterebbe sostanzialmente identica. È un’indicazione preziosa anche per intendere l’essenza della musica come è percepita da un musicista d’oggi, dédito con instancabile energia alla mescidazione delle culture (in particolare quelle musicali africane) e degli stili, ma legato (ed è legame di sangue!) alla più nobile tradizione europea. Tra i termini più spesso ripetuti da Lukas, originalità e inconvenzionalità. Ed è evidente come la scrittura non basti più. Non è questione di scrivere musica sul pentagramma – magari frantumato in mille pezzulli, come nelle composizioni aleatorie –, o per mezzo di disegni come faceva Bussotti, di solo verbali indicazioni esecutive (magari corredate da fotografie, come nella partitura di Musik im Bauch di Stockhausen), né è più il caso di tormentarsi come si tormentava il geniale Donatoni su comporre o non comporre, sul fumo e sull’arrosto dell’agire compositivo: gli è che il musicista di oggi necessita d’un rapporto diretto col suono, non più mediato dalle indicazioni grafiche su carta ed affidato, per la vera e propria “sonorizzazione” ad altri, o principalmente ad altri.
D’altronde, ha aggiunto Lukas, finendo di rispondere alla mia sollecitazione, la musica suona sempre diversa anche se è scritta: “pensi ai Quartetti di Beethoven…”. E qui mi si è aperto il cuore, visto con quale insistenza batto sempre il tasto dell’ineludibile centralità dell’interprete. Ma la risposta di Ligeti è anche un altro segnale di cambiamento rispetto ad un ancora recente passato, nel quale si dette spesso il caso di compositori i quali, scrivendo –attraverso indicazioni maniacalmente precise del dettaglio metrico, espressivo (o non-espressivo), ritmico, esecutivo, eccetera –, mostravano aperte tutte le loro resistenze, per non dire il loro fastidio, verso la soggettività inevitabile dell’intermediazione tra chi scrive la musica e chi dà suono allo scritto. La cosa si è sempre saputa, ma un tempo la si risolveva pacificamente con la consapevolezza che la scrittura era mera traccia (su un recente numero di MUSICA un intelligente pianista spiegava così la differenza – evidente a coup d’oreille — tra quanto Rachmaninov scriveva e come il musicista in persona lo interpretava, eseguendo se stesso); oggi si è tornati alla figura del musicista-performer: inteso soprattutto nel senso dell’improviser.
Lukas Ligeti, a Bologna, si è esibito in tale veste su una Marimba Lumina, ossia un controller midi col layout d’una marimba e sonato con le mazze: risultava un abbacinante connubio tra percussività e liquidità elettronica dei suoni, in una assai armonica saturazione sonora dello spazio ove le intromissioni di ritmi africani o di stilemi jazzy agivano quasi in funzione divisionista, a riportar chiarezza distintiva nel mare incandescente dei suoni. Per me naturale, per non dire inevitabile, il riaffiorare alla mente delle sensazioni (allora sconvolgenti) di un disco tra i fondamentali della storia recente, nel quale Pierre-Laurent Aimard suonava gli Studî di Ligeti padre con Clapping e la Music for Pieces of Woods di Reich (un musicista caro a Ligeti figlio), alternati a canti tradizionali degli Aka Pigmei. Che Lukas avesse avuto una parte rilevante nell’ideazione di quell’incredibile programma?
Del Ligeti compositore si è presentato l’imponente Delta Space, un pezzo trascendentale for pianist, Yamaha Disklavier ed elettronica, affidato alle dita d’acciaio di Franco Venturini, fenomenale virtuoso della tastiera da molti anni associato al FontanaMIX Ensemble. Come nelle sue improvvisazioni, la musica di Lukas Ligeti mostrava qui i tratti attuali della musica, tornata a cercare la bellezza: che può significare molte cose ed assumere forme infinite (certo non è un ritorno a Hanslick!), ha spiegato lo stesso Lukas, ma che si presenta – e ci pare tratto comune alle differenti “bellezze” – sotto forma di una nuova cordialità, di una ritrovata armonia dei suoni. Ciò che comporta, anche, non dirò l’essere fine a sé stessa, ma l’esaurirsi in se stessa.
Voglio dire, ascoltando le opere di György Ligeti si ha ad ogni tratto la sensazione di rinvii, di corrispondenze, di suggestioni, di ispirazioni ad altre (o da altre) forme d’arte: in ispecie – mi sembra per il caso di Ligeti –, simiglianze con una scrittura poetica semanticamente ripensata in chiave espressiva (si pensi a certi sperimenti di Auden, ad esempio, o alla autenticità celata sotto un’apparenza un poco astrusa, nodi formali che, come in Ligeti, si sciolgono come d’incanto leggendo) o aggiornamenti dell’astrattismo in pittura. Astrattismo che – almeno in Ligeti – non corrisponde mai ad “informale”, che anzi Ligeti è sempre strutturatissimo (anche quando, ad esempio in Volumina, scrive per mezzo di masse inchiostranti e non con le note), e può assumere le forme aeree d’un Kandinsky (punto di riferimento certo, per la condivisione della base spirituale dell’arte) o le architetture utopiche d’un Depero: ma anche, nei dettagli delle singole opere, l’occhio non distratto verso le tendenze più recenti dell’arte. Ascoltando Lukas, invece, si ha l’impressione d’una poesia musicale sganciata da nessi intellettuali e semmai legata a relazioni antropologiche o culturali, intese in senso sociologico.
Ma quando Lukas scrive Actaonella, per piccolo ensemble, le distanze con l’arte del padre sembrano annientarsi, le attinenze extra-musicali tornare a combaciare, la musica a riprendere una strutturazione più studiata e impegnativa. D’altronde, l’esecuzione del magnifico Kammerkonzert di György (lavoro del 1970), ha mostrato finora impensate aperture ad un lirismo che associamo come naturalmente all’arte di Lukas e meno avremmo pensato di ritrovare in quella sofisticatissima di György.
Il miracolo del continuo rinnovarsi della musica, di cui parlava Lukas Ligeti, ha trovato, alla riprova dell’esecuzione, la sua decisiva e incontestabile conferma.
Tra i mirabili protagonisti della serata, ebbero ruolo di solisti, oltre al citato Venturini (interprete anche di due Études di Ligeti padre), il sensibile Valentino Corvino (storica spalla dell’ensemble), l’egregio cornista Simone Corno e Stefano Malferrari, poeta visionario ma sempre esatto del pianoforte moderno, nello psichedelico “Vivacissimo” del secondo movimento dal Trio, e l’incantatoria viola di Corrado Carnevali, davvero memorabile nel “Loop” dalla Sonata. All’elettronica del Disklavier è stata invece affidata l’utopia ritmica dello Studio n. 11 di Conlon Nancarrow (collega prediletto da György Ligeti), “per pianoforte” ma di fatto ineseguibile da mani umane.
La musica è ancora vitale ed ha i suoi interpreti valorosi: chiede solo le siano lasciate occasioni come questa per continuare ad esister, arricchendo gli spiriti di chi non vuole arrendersi all’ovvietà del quotidiano.
Bernardo Pieri