KORNGOLD Concerto per violino in re maggiore op. 35 DVOŘÁK Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 “Dal Nuovo Mondo” violino Anna Tifu Nordwestdeutsche Philharmonie, direttore Jonathan Bloxham
Milano, Sala Verdi del Conservatorio, 5 ottobre 2022
Nonostante tutto, si riparte: accantonati i due anni di concerti sospesi o adattati alle difficili contingenze, le stagioni musicali tentano di uscire indenni anche dai mesi difficili che ci aspettano, tra inflazione e crisi energetica che, insieme alle profonde ferite inferte dal Covid, certo non aiutano a vedere sale piene di pubblico, né in Italia né all’estero, nemmeno in quella Germania da cui proviene l’orchestra che si è esibita nella serata di apertura della Società dei Concerti di Milano, che festeggia i suoi 40 anni, e che Enrica Ciccarelli porta avanti da tempo con coraggio, idee e intelligenza. Si trattava della Nordwestdeutsche Philharmonie, di stanza ad Herford (Nord Reno Vestfalia), fondata nel 1950 e che ha visto come direttori musicali nomi del calibro di Hermann Scherchen e, più recentemente, Andris Nelsons: nel bene e nel male una tipica orchestra sinfonica tedesca di provincia, disciplinata e compattissima nel settore archi, con qualche incertezza fra gli ottoni, e molto diligente nel rispondere alle sollecitazioni del direttore di turno, non mostrando – per contro – una particolare personalità a livello timbrico. Con queste premesse, e con l’apporto del direttore inglese Jonathan Bloxham, ho ascoltato una lettura della Nona di Dvořák piuttosto ben riuscita nella ricchezza di idee che provenivano dal podio, di solito volte ad un’incisività nervosa, ad un guizzo sonoro che vedeva i suoi momenti migliori nella rustica vivacità dello Scherzo e nel carattere contrastato del Finale, mentre il celebre Largo non era rifinito come nelle più celebri letture della Sinfonia “Dal nuovo mondo”. Che mancasse, insomma, quel quid che distanzia una buona e convincente lettura da una grande esecuzione lo provava anche il bis, la Danza slava n. 8 op. 46 dello stesso Dvořák, quel Furiant che nelle mani di un Talich, di un Kubelik o anche di un Doráti, ad esempio, aveva tutt’altro sapore, fra impeto brillante e sottile nostalgia. E quindi ci si chiede: perché insistere fino allo sfinimento con i soliti pezzi del grande repertorio, che espongono a confronti inevitabilmente perdenti, e non cercare qualche strada meno battuta, per un pubblico che è meno pigro di quanto si creda? Mistero!
Ma l’elemento di maggiore interesse della serata era il debutto italiano di Anna Tifu, di casa alla Società dei Concerti, nel Concerto per violino di Korngold: partitura celebre, irta di difficoltà, in equilibrio sottile fra cascami tardoromantici e enfasi hollywoodiana, per cui è impossibile non citare la gustosa battuta del critico Irving Kolodin, che la descriveva (forse sbagliando…) come “more corn than gold”, ossia più sentimentale che veramente di valore. Forse anche per una tensione evidente, specie nel primo movimento, la strada percorsa da Anna Tifu era molto diversa da quella comune (e che mi sarei aspettato anche da lei, vista la splendida qualità del suo cantabile), quella di un concerto per il quale Korngold stesso affermò essere necessario “un Caruso e un Paganini insieme” (e d’altronde lui ebbe Heifetz come primo esecutore!): la Tifu mostrava infatti controllo rigoroso del vibrato, sonorità misurate, totale lontananza da ogni forma di sdolcinatura o di sentimentalismo a buon mercato, con un atteggiamento ovviamente ancora più apprezzabile nel movimento centrale, elegante e misurato, quasi parnassiano nella purezza del canto, rischiando quasi di mettere a nudo la relativa debolezza di questo Concerto, che vive anche di una certa sovrabbondanza di colori e accenti. Ma ad Anna Tifu non manca l’armamentario virtuosistico della virtuosa, messo in mostra soprattutto nell’Allegro assai vivace finale, irto di bicordi, pizzicati, scale, armonici, ancora una volta tutti immersi in un discorso musicale sobrio e coerente: non sempre l’accordo col direttore mi è parso ideale (le prove sono state esigue, anche per vari inconvenienti che hanno ritardato l’arrivo dell’orchestra a Milano), e una certa prudenza era forse più frutto delle necessità contingenti che di precise scelte espressive. Ma il risultato, ripeto, era del massimo interesse: un Korngold più misurato e posato del solito, che certamente potrà crescere in fluidità e intensità in altre esecuzioni. D’altronde, come il bis bachiano (la Sarabanda dalla Partita n. 2) ha confermato, il meglio di Anna Tifu sta nell’unione di una linea di rarissima bellezza melodica con un’intensità espressiva che vive di sobrietà e rigore.
Nicola Cattò
Foto: © Camilla Borò