KORNGOLD Sinfonia in Fa diesis maggiore op. 40; Straussiana SUPPÉ Poeta e contadino. Ouverture LEHÁR La vedova allegra. Ouverture STRAUSS JR Il pipistrello. Ouverture Orchestra Sinfonica di Milano, direttore Giuseppe Grazioli
Milano, Auditorium, 24 marzo 2023
Ci sono concerti che, già sulla carta, rendono merito a chi ha il coraggio di idearli, programmarli e portarli in scena: tale è il caso di quanto avvenuto venerdì scorso (con replica domenica 26) all’Auditorium di Milano, quando uno dei nostri direttori d’orchestra più capaci di abbinare la ricerca libera da pregiudizi, la cultura musicale e musicologica ad uno stile sempre raffinato, pregnante, ad un fare musica che sa bilanciare benissimo buonsenso e ispirazione, ha presentato in prima italiana (pare impossibile, ma tant’è) la monumentale Sinfonia in Fa diesis maggiore di Erich Wolfgang Korngold. Sto parlando di Giuseppe Grazioli e dell’Orchestra Sinfonica di Milano, ed è molto significativo che ciò avvenga negli stessi giorni in cui, nel massimo teatro cittadino, si alternano sul podio due bacchette che fanno a gara di inadeguatezza e mediocrità. La Sinfonia di Korngold è il frutto estremo non solo della produzione musicale del genio austriaco (anche se, a volere essere precisi, cronologicamente tale titolo spetta alla Straussiana — un delizioso pot-pourri di temi da operette meno note del sommo Johann, Fürstin Ninetta, Cagliostro in Wien e Ritter Pasman — che è stata assai logicamente presentata in apertura di seconda parte di serata), ma in un certo senso di un modo di fare musica che affonda ancora le sue radici nel tardo romanticismo tedesco (gli echi bruckneriani dell’Adagio sono evidenti), eppure legandole a quel mondo cinematografico il cui linguaggio drammaturgico e musicale Korngold aveva di fatto fondato. Definita da Mitropoulos (che non fece in tempo a dirigerla, causa morte prematura) “il lavoro moderno perfetto”, fu eseguita la prima volta con i Wiener Symphoniker diretti da Harold Byrns il 17 ottobre 1954, un’esecuzione poco e mal provata, dal livello evidentemente così infimo che lo stesso Korngold provò (senza successo) ad impedire: dopo quella data, un lungo silenzio, interrotto da Rudolf Kempe, che la riscoprì, eseguì e incise nel novembre ’72. E da quella data non poche incisioni discografiche, alcune delle quali assai godibili, hanno reso giustizia a una partitura che, completata nel 1952, venne dedicata alla memoria di Franklin D. Roosevelt. La complessità di scrittura e di esecuzione di tale lavoro è enorme, anche per l’ampiezza (50 minuti) e il carattere molto diverso dei quattro movimenti: nel primo tutto deriva da una cellula — che direi quasi più ritmica che melodica — che informa tutto lo sviluppo del discorso, mentre nello Scherzo, di diabolica raffinatezza, sono più evidenti gli echi della musica da film (Korngold fa uso di un suo tema da The Private Lives of Elizabeth and Essex); dell’Adagio quasi bruckneriano (almeno nell’incipit) si è detto, mentre il Finale, più breve, conosce una sorta di moto perpetuo, su cui si stagliano le perorazioni degli ottoni (ai corni, in particolare, è richiesto uno strenuo impegno). Provare nei dettagli tale monstrum avrebbe richiesto un tempo evidentemente incompatibile con le esigenze delle orchestre moderne, e specie di quella milanese, sempre così attiva: ciononostante il risultato è stato eccellente (e in netto crescendo tra i quattro movimenti) per l’asciuttezza degli accenti, la chiarezza delle linee e la capacità di far emergere i tanti soli strumentali con intensità e sobrietà. Quella che si dice la bravura di un direttore che conosce il mestiere anche rivoltato: e che, con gusto squisito, ha accostato al piatto forte quattro… Delikatessen dedicate a quella Vienna da cui Korngold scappò dopo l’Anschluss e da cui fuggì ancora dopo la guerra, ritornando in quegli Stati Uniti di cui era diventato cittadino, sentendosi egli estraneo in una nazione e in un mondo che non lo ricordava e che egli stesso non riconosceva: abbiamo quindi sentito la citata Straussiana e tre celeberrime ouverture da operetta, fra cui quella della Vedova allegra, rielaborazione posteriore rispetto all’operetta da parte di Lehár, che sembra volere sfoggiare tutta la sua sapienza contrappuntistica sovrapponendo molte delle celebri melodie, facendole rincorrere l’una con l’altra con effetto ipercinetico e quasi ipnotico. E anche in questa seconda parte “leggera” (ma sarà poi così?), Grazioli e la Sinfonica di Milano hanno evitato di rincorrere impossibili colori e profumi echt wienerisch per puntare invece sull’eleganza, la cantabilità, lo slancio e il gusto. Cosa che paga sempre, e in questo concerto in particolare. Applausi lunghi, coronati da un piccolo bis del finale della sinfonia della Fledermaus.
Nicola Cattò