LA SONATA NEL XVIII SECOLO violino Federico Guglielmo fortepiano Andrea Coen
Belgirate, Chiesa Vecchia, 20 agosto
Come sempre allo Stresa Festival c’è modo di stupirsi. Una chiesetta, densa di affreschi e con una luce sfumata molto intima, arroccata appena sopra Belgirate, dalla quale si domina un bel pezzo di lago con un pubblico che parla varie lingue e veste in modo sobrio, ma sempre molto elegante. Due musicisti d’eccezione — il violinista Federico Guglielmo e il tastierista (impegnato al fortepiano) Andrea Coen — che ci hanno regalato un’ora e più, tutta d’un fiato. Senza lasciar spazio ad un inutile all’intervallo, che avrebbe potuto distrarci da questa atmosfera incantata, ci hanno accompagnato in alcuni meandri poco conosciuti della musica del Settecento per ricondurci verso le più note melodie del classicismo viennese partendo dal mondo stürmisch della Sonata in fa maggiore Wq75 di C.P.E. Bach, arrivando a quello “galante” di J.Ch. Bach con la Sonata in la maggiore op. XVI n° 4, fino a due brani di Haydn e Mozart, la Sonata in sol maggiore Hob. XV:32 e la Sonata in do maggiore KV 296, che sono ancora figlie del mondo galante, o che sentono molto vicina quella temperie, pur mostrando una scrittura ormai paritetica tra i due strumenti.
Il brano più impegnativo per il pubblico è stato sicuramente il primo per quella scrittura così complessa e articolata di C.Ph.E. Bach il quale impiega una gran messe di abbellimenti (appoggiature su tutte) e un fraseggio piuttosto desueto nel quale hanno ampio spazio insidiose armonie. Grande spazio al fortepiano con un tocco sempre accuratissimo che ben si fondeva alla strepitosa cavata di Guglielmo, violinista che suona anche i passi meno comodi per la mano di un violinista in grande souplesse, sciorinando eccellente musicalità. Grande affiatamento tra i due artisti che nell’ultimo movimento hanno avuto modo di dialogare in modo sempre più serrato evidenziando la maturità del loro sodalizio artistico. Subito dopo gli applausi siamo entrati d’impeto nel più leggero e gioioso mondo di J.Ch. Bach, con il fortepiano che domina la tessitura compositiva, permettendo a Guglielmo di far cantare il violino con delle note lunghe estremamente delicate e curate in ogni loro dettaglio dinamico. Dopo l’Allegretto segue una Pastorale dai toni elegiaci, ma che nella parte finale può sembrare una ninna nanna. Subito il genio di Rohrau, Haydn, ci risveglia da ogni torpore con un luminoso sol maggiore, con dei temi e delle atmosfere che attraverseranno tutto il classicismo per giungere fino alle prime opere del giovane Schubert. Eccezionale l’intesa tra i due strumentisti per quei passaggi di dinamica così musicali e fluidi, impreziositi dalla timbrica cangiante del violino che si destreggia alla grande tra pizzicati, “strappati” (sempre ben controllati) e un uso parco dell’archetto che esalta le qualità sonore di uno strumento di particolare pregio. Non si finisce il primo movimento, Andante, che il numeroso pubblico si produce in un applauso “a scena aperta”. Conclude un Allegro che piace a tal punto da diventare il secondo bis della serata. Infine, Mozart suonato con grande gusto e senso della misura: mai nulla viene sfuggito, tutto è tornito e levigato, abbellimento per abbellimento, fraseggio per fraseggio trascinandoci nell’atmosfera della Vienna di fine secolo XVIII. Al termine scrosciano così tanti applausi che vengono offerti ben due bis. Il primo è legato alla prossima uscita discografica del duo, ovvero un Arioso di C.Ph.E. Bach nella versione per fortepiano e violino (ne esiste anche una per il solo strumento a tastiera): musica di estrema complessità, profonda e con un finale inaspettato, mentre (come accennavo nelle righe precedenti) l’atmosfera viene rischiarata dall’Allegro di Haydn. Una serata da ricordare per l’atmosfera, la straordinaria bravura dei solisti e la bellezza del programma.
Carlo Bellora