MOZART Concerto per violino e orchestra in LA K 219 “Turco”; Serenata per fiati n. 10 in si bemolle maggiore “Gran Partita” K 361 violino Gennaro Cardaropoli Orchestra I Pomeriggi Musicali, direttore Alessandro Bonato
Milano, Teatro dal Verme, 30 aprile 2022
Non potevo perdere l’occasione di riascoltare Gennaro Cardaropoli dopo che, al concerto di gala degli ICMA 2022 (rivedibile qui), dove è stato premiato come miglior giovane artista dell’anno, ha conquistato il pubblico e un direttore di non trascurabile esperienza come Ádám Fischer, suonando il terzo movimento del Concerto di Korngold (ed era la sua prima volta: direttori artistici, cosa aspettate a farglielo suonare per intero?).
L’occasione era un concerto della stagione dei Pomeriggi, ahimè assai poco seguito dal pubblico, che lo vedeva impegnato nel Concerto “Turco” di Mozart: autore che secondo me è adattissimo al suo tipo di suono, di fraseggio e di — per così dire — attitudine mentale. A patto che si intenda un Mozart fresco, ricco di contrasti, coraggioso nello stacco dei tempi e piccante nelle sonorità: cosa che, purtroppo, la direzione dell’altrettanto giovane Alessandro Bonato non ha saputo (o voluto) fornire. In questa esecuzione milanese si palesava, in modo evidente, che le idee di Cardaropoli e quelle di Bonato mal si conciliavano: il primo, nelle Cadenze e nelle varie Eingang (specie del terzo movimento) si prendeva rischi, con colori e idee, il secondo riproponeva quel Mozart “educato” e rifinitissimo che si faceva quarant’anni fa. Un nipotino di Karl Böhm, ma senza avere i Wiener Philharmoniker. Nel secondo movimento, poi, Cardaropoli tentava, giustamente, di sfuggire al tactus eccessivamente costante dell’orchestra, ma riuscendoci solo per brevi momenti: e la turcheria del terzo, che ha dato il soprannome all’intero concerto, vedeva le sue polveri decisamente bagnate. Facile capire perché il violinista salernitano si sia preso una sorta di rivincita con il bis, sciorinando un impressionante armamentario virtuosistico in Nel cor più non mi sento di Paganini, con dei pizzicati della mano sinistra sonori e scoppiettanti.
Ancora Mozart, dopo l’intervallo: e anche qui abbiamo provato quanto la sua musica sia difficilissima da rendere per un direttore, soprattutto giovane. Ammesso e non concesso che alla sublime Gran partita un direttore d’orchestra serva, che senso ha eseguire tutti i ritornelli, portando la durata a quasi 50 minuti, ma praticamente senza una variazione, che sia agogica, timbrica o proprio di scrittura? Anche qui, l’esecuzione era davvero “vecchio stile”, alla ricerca di un ideale di bellezza apollinea che non rende giustizia alla ricchezza espressiva del genio mozartiano.
Nicola Cattò
Foto: Lorenza Daverio