FAURÉ Pavane op. 50 SCHUMANN Kreisleriana op. 16 CHOPIN Mazurche op. 7 n. 3, op. 17 nn. 1, 2, 4, op. 24 nn. 1, 2, op. 30 nn. 3, 4, op. 33 nn. 3, 4, 2, op. 59 n. 3; Polacca in fa diesis minore op. 54 pianoforte Lang Lang
Torino, Auditorium del Lingotto, 23 febbraio 2024
A Torino, Lang Lang mancava dal settembre 2010, chiamato a esibirsi al PalaIsozaki (Pala Olimpico) in occasione dell’edizione 2010 di MITO Settembre Musica. Tredici anni e mezzo dopo lo ritroviamo quindi al Lingotto, senz’altro in gran spolvero nonostante, in modo più incessante del solito, gli facessero concorrenza accessi di tosse, telefoni cellulari dimenticati con la suoneria accesa e i pesanti passi dei ritardatari dopo l’intervallo. Ad ogni modo per certi versi non è semplice, affermavo recentemente in merito al doppio disco che ha visto protagonista proprio il pianista cinese insieme a sua moglie Gina Alice (vedi MUSICA 354), occuparsi di un interprete tanto chiacchierato e, soprattutto un tempo, divisivo, ma anche carismatico quanto musicalmente e digitalmente dotato. Pure sottolineavo come Lang Lang non sia più soltanto il funambolo del pianoforte che, in un senso o nell’altro, non smette di infiammare il pubblico, e che oggi, all’età di quarantadue anni, è artista dal talento prorompente che veleggia verso la maturità. Sicché certe rimbeccate che gli si potevano muovere quindici o vent’anni or sono mi pare siano oggi da ridimensionare, quantomeno in base a ciò che ho avuto occasione di ascoltare negli ultimi tempi, vuoi in concerto vuoi in registrazione: in Lang Lang ravviso oggi, infatti, una maggiore maturità estetico-interpretativa che coinvolge anche la scelta del repertorio che, per quanto a mio avviso ancora distante dalla qualità dei programmi costruiti da alcuni suoi colleghi, mi pare tuttavia siano di norma più interessanti rispetto a quelli che era solito proporre in giovanissima età, conseguenza anche di altre necessità e obiettivi, che un tempo avevano a che fare, tra l’altro, con l’irrobustirsi della reputazione di funambolo degli ottantotto tasti, senza per questo voler suggerire che egli si limitasse a questo, ciò che sarebbe del tutto falso: Lang Lang è artista di prestigio indiscutibile, pur restando qualche (lecito) dubbio di cui dirò.
La splendida Pavane di Fauré apre il recital del pianista cinese, il quale esegue il celebre brano imprimendo a un tempo delicatezza e incisività, ciò che si avverte nel modo di suonare dello stesso Lang Lang più in generale e che in ultima analisi denota un controllo dei mezzi tecnici tra i più ferrati in circolazione, al punto che ogni tentativo di attaccarlo proprio sul terreno della perizia tecnica (come avveniva soprattutto all’epoca della sua ribalta internazionale) risulta operazione pretestuosa, persino ridicola e, sospetto, non priva di pregiudizi; di conseguenza non vedo ragione per cui dovrei indossare le vesti del gesuita controriformista e annotare i rari momenti in cui, ad esempio, questa sera il fraseggio non è stato disegnato con la consueta lucidità e cristallina chiarezza. Rara avis.Detto questo ci sono vari modi, naturalmente, di approcciarsi a questa Pavane e Lang Lang non sceglie di ancorarsi al ricordo della tradizione europea e rinascimentale da cui il brano prende spunto, bensì opta per un ossequio ad un’estetica posteriore, quella propria ancora degli interpreti dell’epoca di Casella, ciò che confermerebbe le impressioni e i dubbi che ricavai ascoltando il suo già citato ultimo disco, dove appunto è presente proprio la Pavane op. 50. Ma ecco il dubbio: trattasi di scelta consapevole oppure figlia di una mancata sincronizzazione con un certo repertorio, vale a dire con una certa epoca e con una certa cultura, da parte del pianista cinese?
Alla Pavane è seguita la ben più impegnativa Kreisleriana. Qui Lang Lang offre un’esecuzione di grande prestigio, uno Schumann riportato forse al massimo del suo fulgore, frutto anche di un grande agio con le varie situazioni musicali che compongono questa complessa pagina, così dal nostro interprete ben articolate e restituite nel più compiuto dei modi. E sapientemente connota ciascuno degli otto brani della raccolta senza tuttavia perderne di vista l’unitarietà. L’ultima parte della serata è dedicata a Chopin, con una sequenza antologica di dodici mazurke, brani che non tutti gli interpreti hanno saputo e sanno maneggiare con altrettanto rispetto del prodotto artistico: Lang Lang riconduce queste brevi composizioni alla loro dimensione intimista, quando il testo lo richiede, senza rinunciare naturalmente agli estroversi, popolareschi episodi di cui sono costellate. Il pianista cinese è artista sensibile, dotatissimo, completo; ciò che, ritengo, almeno in parte ancora gli manchi, mi permetto di dire, è un qualcosa che forse sta comunque a poco a poco acquisendo con il passare degli anni: una prospettiva e una profondità storica, una penetrazione maggiore (in senso culturale, filologico, estetico) di un certo repertorio radicato nell’area centro-occidentale del vecchio continente, soprattutto per così dire di ascendenza ancien régime e di prima età Biedermeier.
Dopo il finale, affidato ancora a Chopin con la straordinaria Polacca in fa# minore op. 44, il pianista cinese concede due bis: si tratta rispettivamente di una Romanza senza parole di Charlotte Sohy, registrata di recente nel già ricordato disco Deutsche Grammophon consacrato alla musica francese, e di una melodia tradizionale cinese che Puccini rielaborerà eternandola in Turandot. Il tutto annunciato dallo stesso Lang Lang microfono in mano, efficace figura di uomo di spettacolo anche in contesto extra-musicale, artista rispettoso e grato al suo pubblico.
Marco Testa