«Omaggio a Franco Gulli» BRAHMS Trio op. 8 STRAUSS Quartetto op. 13 Trio Chagall viola Bruno Giuranna
Trieste, Teatro Verdi, 25 ottobre 2021
Questa non è la recensione di un concerto, diciamo subito stupendo. È piuttosto una corrispondenza di affetti e di una amicizia che nella musica ha trovato eco profonda e ancora viva. L’amicizia di Bruno Giuranna e di Franco Gulli, non solo per i trascorsi illustri nel Trio Italiano d’Archi: quante volte insieme e in ogni dove, anche sullo stesso teatro triestino! L’amicizia di una vita, che ha portato ancora una volta Giuranna nella città dell’amico Franco per dedicargli (a vent’anni dalla scomparsa avvenuta a Bloomington) uno dei concerti più calorosi di questa stagione duramente provata dalla pandemia e dai postumi tuttora attivi. L’ammirevole iniziativa della Società dei Concerti, che sta ritrovando lena in un articolato progetto culturale, si deve ad un altro amico di Gulli: il pianista Derek Han. Come direttore artistico della S.d.C., Han aveva disegnato il percorso, che il Covid non gli dato nemmeno il tempo di avviare. Il caso ha voluto mettere in calendario la serata nel periodo inquieto in cui la città, subendone lo sfregio, è stata eletta immotivata sede di una agitazione permanente di no-vax e no-pass. Il che ha reso ancora più acuta la nostalgia per la civiltà culturale di cui Trieste è stata culla nelle maggiori istituzioni e in quelle “di scuola” dove erano nati, fra gli altri, i talenti del Trio di Trieste e di Franco Gulli. Al grande violinista, alla sua gioia della musica (anche quando Franchetto, il “mulo” di genio, era diventato un modello assoluto) Giuranna ha dedicato parole commosse prima di prendere posto al leggìo della viola con i “ragazzi” del Trio Chagall per il Quartetto in do minore op. 13 di Richard Strauss. Non si sarebbe potuto scegliere meglio per onorare con tanta evidenza di partecipazione stilistica ed emotiva il piacere alto del “far musica” che ha attraversato l’esistenza di Gulli in ogni momento della sua carriera. Un’interpretazione rigenerante come la giovinezza di questo quartetto del 1885, ancora lontano dai pur vicini poemi sinfonici, ma dove dal laboratorio brahmsian-schumanniano già si intuisce il tratto rampante che prenderà corpo nel Don Juan. E dove la viola di Giuranna, giovane Maestro ottuagenario, si inserisce nella ricchezza di fraseggio, nell’arcata inventiva del giovane Strauss che Edoardo Grieco (violino), Franco Massimino (violoncello), Lorenzo Nguyen (pianoforte) dominano con la sicurezza delle formazioni di lungo corso. È un’arcata unica di respiro con la fibrillazione straordinaria di uno Scherzo, destinato ad essere bissato. Del resto il Trio Chagall già si era presentato con le migliori credenziali nella prima parte della serata con la rivelazione-capolavoro di Brahms: l’opera 8, il cui Allegro con brio sembrava davvero svettare come un inno di felicità. Ne avrebbe gioito Franco Gulli sempre così sensibile e disponibile verso i giovani musicisti, al punto di sacrificare all’insegnamento la sua carriera concertistica e discografica.
SAINT-SAËNS Concerto per violino e orchestra n. 3 op. 61 BRAHMS Sinfonia n. 2 violino Kuba Jakowicz Orchestra della Fondazione Teatro Verdi direttore Pinchas Steinberg
Trieste, Teatro Verdi, 6 novembre 2021
DVŎRÁK Concerto per violoncello e orchestra op. 104 STRAUSS Tod und Verklärung ZEMLINSKY Salmo 13 op. 24 violoncello Mischa Maisky Orchestra della Fondazione Teatro Verdi, direttore Nikolas Nägele
Trieste, Teatro Verdi, 13 novembre 2021
Provato dall’ennesima canea e dall’assedio dei no-vax, intorpidito da un’offerta saltuaria ed ordinaria, il Teatro Verdi (e la città) hanno avuto quasi un veemente scatto di legittimo orgoglio in due concerti d’autunno di caratura salisburghese. Entusiasmo di cui s’era perduta memoria. A conferma ovvia di quanto siano ancora efficaci e premianti qualità e intelligenza. La sveglia l’ha suonata un direttore di acuminata cultura come Pinchas Steinberg, con il quale l’orchestra ha ritrovato misura, ampiezza di respiro e il senso della grande forma in un Brahms (la Sinfonia n. 2 in re maggiore) densa di fragranze cantabili. Di una diversa fascinazione era intrisa la sensualità tematica del pressoché coevo concerto per violino e orchestra op. 61 di Camille Saint-Saëns, autore che Steinberg ama, al di là della cerchia dei classici, per la sensualità dell’invenzione melodica e per aver tra l’altro diretto proprio qui in anni lontani una bella edizione di Samson et Dalila. Il pregio dell’esecuzione era proprio nella ricchezza di colore sinfonico in felice corrispondenza con il virtuosismo (quasi zingaresco nelle strappate del primo tema dell’Allegro iniziale e sognante nella “barcarola” del movimento centrale) del violinista polacco Kuba Jalowicz.
La fama ed il prestigio di Mischa Maisky (solista del Concerto di Dvŏrák) ha riempito il teatro la settimana dopo come ai bei tempi, scatenando un’ovazione alla quale il violoncellista lèttone non ha potuto sottrarsi, concedendo una coda bachiana di ben tre bis. Ma anche in questo caso, detto della magnificenza carismatica di questo Profeta del violoncello, dell’infinita iridescenza del melos e della lussureggiante natura sonora di Dvŏrák in cui Maisky si immerge tenendo in autentica apnea l’uditorio, preziosa è parsa la corrispondenza dell’orchestra diretta da Nikolas Nägele, giovane Kapellmeister della Deutsche Oper di Berlino. Nägele, che alterna i grandi spazi sinfonici all’interesse per il repertorio operistico italiano (Rossini e Cimarosa compresi), ha confezionato una sostanziosa seconda parte di serata con il sinfonismo del primo Strauss (Tod und Verklärung) e con uno dei capolavori “inattuali” e marginali del Novecento tedesco, il Salmo 13 op. 24 di Zemlinsky, compositore che proprio al Verdi una trentina d’anni fa aveva affascinato il pubblico con la prima di Der Zwerg ovvero Il compleanno dell’Infanta. Il gesto analitico di Nägele ha plasmato fraseggi sinfonici emozionanti (anche per momenti di rara levità nel pathos di Strauss) ed esaltato la grandiosità del Salmo, pur non avendo a disposizione l’abnorme organico che Zemlinsky (tra Mahler e Schönberg) avrebbe richiesto. Ma l’impegno dell’orchestra triestina e del coro, affidato alle ottime cure di Paolo Longo, hanno portato l’opera ad alta intensità: liberatoria nell’approdo dopo l’angoscioso interrogativo corale a Dio “Wie lange?”: lo stesso interrogativo del “sofferente”, dell’”oppresso”, del “perseguitato”, lo stesso del Giobbe di Joseph Roth e persino di Weill criptato in una canzone d’amore. Il che ha aggiunto alla serata una riflessione profonda ed attuale mediata dalla musica.
Gianni Gori