BELLINI Norma A. Pirozzi, E. Gubanova, F. De Tommaso, A. Tsymbalyuk, V. Marini, G. Guliashvili; Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo, direttore Lorenzo Passerini regia Justin Way scene Charles Edwards costumi Nicolás Fischtel movimenti scenici Jo Meredith
Napoli, Teatro di San Carlo, 12 marzo 2024
Mettere in scena Norma¸ prototipo purissimo del melodramma romantico, sembrerebbe cosa facile per un regista: in fondo si tratta sempre di un amore travagliato, dell’eterno dilemma tra sentimento e dovere, in un contesto di ostilità tra due fazioni (i Galli e i Romani nel libretto di Felice Romani). E poi, a rendere il tutto appassionante, c’è Bellini con la sua palpitante musica, e l’azione scenica dovrebbe venire da sé.
Ma c’è sempre un regista che arricchisce (o complica) tutto; qui è l’australiano Justin Wayche ci propone l’ennesima variante di un topos classico della drammaturgia: il “teatro nel teatro”. Solo che si capisce che è questa la cifra dell’allestimento solo leggendo le note di regia, perché in scena fino al secondo atto non è granché chiaro dove si vada a parare.
Way sposta l’azione principale nel 1831, anno della prima assoluta di Norma alla Scala, nel pieno dell’occupazione di Milano da parte degli Austriaci. Quando all’inizio Oroveso incita i Druidi alla rivolta, ci sono Pollione e Flavio in divisa da ufficiali austriaci che osservano la scena da quello che sembra un palco d’opera. Il filo si dipana e infine, sempre con l’aiutìno del programma di sala, si capisce che quelle sono le prove di Norma e che i Druidi che inveiscono contro i Romani sono anche i patrioti milanesi decisi a cacciare l’occupante austriaco.
Veniamo a sapere che il soprano che sta provando il personaggio di Norma è innamorata di un ufficiale austriaco con cui aveva segretamente avuto due figli. Gli invasori non sono più solo i romani, ma gli austriaci che occupano il Lombardo-Veneto, e i diversi piani temporali si incrociano e si confondono.
Bisogna però dire che anche se mancava di chiarezza, la messinscena è riuscita comunque a trasmettere il sentimento dell’opera, per merito della partitura del Cigno di Catania, ma anche della colorata e vivace parte visiva (scene, costumi, movimenti), tanto che alla fine il cerchio dello spettacolo arriva a quadrarsi e se ne esce abbastanza appagati.
Scene a metà tra la foresta, le rocce e i costumi da druidi da una parte, e il camerino della diva (che in verità sembra più l’antro di Ulrica) e gli ufficiali austriaci dall’altra. Il tutto culmina in una drammatica scena finale, che è stata la trovata più originale del regista: il fondale cade per mostrare una videoproiezione della Scala in preda ad un incendio. Mentre il coro e Oroveso fuggono dal palcoscenico, Norma e Pollione si lanciano nelle fiamme, incontro al loro destino.
Il ruolo della protagonista è assunto da Anna Pirozzi che però in “Casta Diva”, una delle arie più celebri di tutto il repertorio lirico, non fa palpitare i cuori. Qui alla Pirozzi mancano ampiezza vocale e musicalità, il canto si rivela a volte instabile con un vibrato eccessivo, ed è troppo centrato in un registro acuto di forza, con la linea vocale messa a dura prova dalle lunghe frasi dell’aria. Però nel seguito la cantante prende quota e raggiunge finalmente un livello soddisfacente.
Più precisa e sicura la Adalgisa di Ekaterina Gubanova, in particolare nella messa di voce, anche se ha incontrato alcune difficoltà con il registro grave. In particolare, si è distinta nel duetto in cui tradizionalmente ci si aspetta che Norma sovrasti Adalgisa, sia vocalmente che drammaticamente.
Freddie De Tommaso ha interpretato Pollione virando a volte verso un suono da baritenore, e immergendosi totalmente nel personaggio con una sua interpretazione dell’ufficiale austriaco forse eccessivamente caricata; però, nei pezzi d’insieme e nelle scene con Norma, è riuscito a trovare un equilibrio tra abilità vocale e recitazione, mantenendo credibilità sia musicalmente che scenicamente.
Il basso Alexander Tsymbalyuk infonde un po’ troppa ieraticità ad Oroveso, ma il suo suono profondo, scuro e timbratissimo caratterizza bene il personaggio. Hanno completato il cast con una prestazione più che dignitosa Veronica Marini come Clotilde, e Giorgi Guliashvili nei panni di Flavio.
Il direttore Lorenzo Passerini nell’ouverture ha mostrato mancanza di profondità e una sonorità d’insieme troppo fragorosa, qualità che invece appariva giusta nel finale. La sua lettura sembrava concentrarsi esclusivamente sugli aspetti melodici del belcanto, senza esplorare sufficientemente colori e dinamiche e senza mettere a nudo l’inquietudine che attraversa tutta la partitura. Lungi dal suscitare profonde emozioni, tendeva maggiormente a fornire un metronomico accompagnamento ai cantanti.
Il coro del San Carlo si è mantenuto sull’ormai solito e solido standard, con le voci maschili, in particolare, che si sono distinte per il loro contributo significativo in alcuni momenti clou dell’opera.
Lorenzo Fiorito
Foto: Luciano Romano / Teatro di San Carlo